Privacy & microonde

Mariarosa Mancuso
“Mr Robot” mette insieme voyeurismo e rivoluzione, traumi infantili e dissimulazioni adulte

    Paranoico e spaventato alla sola idea di parlare con le persone (c’è il rischio che poi  allunghino le mani per abbracciarti). Un bel pianto ogni paio di settimane, morfina in dosi da trenta milligrammi al giorno. Grande invidia per chi – quasi tutti attorno a lui, o almeno così sembra – vive dentro la bolla. Per capirci: sta nel paradiso degli ingenui, senza aver mai voglia di ingoiare la pillola rossa di Matrix per capire come veramente stanno le cose (ne esiste anche una versione settecentesca, dovuta alla penna di Jonathan Swift: “La felice condizione di uno scemo in mezzo ai furfanti”, dove “felice” è la parola chiave).

     

    Non proprio l’amico con cui passare i pomeriggi. Ma un azzeccato personaggio per una serie televisiva che parla di crittografie, hackeraggio, debiti da cancellare e multinazionali da mettere in ginocchio, reti parallele che strutturano il mondo e mani invisibili che lo governano. In onda su Premium Stories dal 3 marzo, “Mr Robot” intreccia “Brazil” e “Taxi Driver”, smanie di giustizia privata e totalitarismo informatico, voyeurismo e rivoluzione, traumi infantili e dissimulazioni adulte.

     

    A tenerli insieme, un giovanotto dagli enormi e un poco rassicuranti occhi scuri che si chiama Elliot (l’attore Rami Malek, di origine egiziana, era finora relegato in ruoli etnici, come il Faraone in “Una notte al museo”). Vive da solo in un quartieraccio, ha battezzato il suo pesciolino da compagnia “Qwerty” – le sei lettere in alto a sinistra sulla tastiera, stabilite quando le macchine per scrivere avevano i martelletti: bisognava impedire che si incastrassero studiando quanto spesso una certa lettera ricorreva (infatti i francesi al posto della Q hanno una A). Di giorno lavora in una ditta di cybersecurity, di notte punisce chi usa il web per commettere reati. E sempre sente le voci.

     

    La voce fuori campo fa da scorciatoia per i registi pigri – o spiega quel che vediamo nella scena, o racconta quel che lo schermo fatica a mostrare (nel cinema italiano serve a presentare i personaggi, così lo sceneggiatore si sbriga prima). A meno che uno non si chiami Wes Anderson, e non sia bravissimo a mettere in contrasto le immagini e il racconto, tirandone fuori molto più della somma delle parti.

     

    [**Video_box_2**]Sam Esmail – anche lui egiziano, ideatore della serie già premiatissima, con un incidente informatico nel suo passato universitario che lo mise in libertà vigilata e oggi gli fa dire “niente mai viene davvero cancellato” – usa la voce fuori campo al massimo delle potenzialità drammatiche. Elliot tace con gli altri, ma tra sé parla parecchio. Quando si trova nell’appartamentino solo con il pesce nella boccia, o durante gli appuntamenti con la psicoterapeuta. Lei sarebbe lì per ascoltarlo, lui rimugina in solitario, con un tono di voce così piatto e poco umano che non sembrerebbe neanche possibile. Nell’originale. Nel doppiaggio un po’ meno.

     

    Elliott ha la fissa dell’Ecorp, da lui ribattezzata EvilCorp, la multinazionale del male dove lavorava suo padre. Quando i server vengono violati (come accadde al sito per adulteri Ashley Madison e alla Sony), tocca al quasi autistico giovanotto parare il colpo, imbattendosi in una stringa che lo condurrà a Mr Robot: uno che vuole cambiare il mondo, cancellare il debito, e dà informazioni solo durante incontri faccia a faccia (“il nostro sistema di crittaggio è il mondo”). Come Lisbeth Salander, Elliott pratica volentieri l’arte di violare la privacy altrui. Se deve cancellare le proprie tracce informatiche, brucia schede, dischi, memorie e circuiti nel forno a microonde.