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Interessi, idee, sogni: ecco che cosa alimenta la globalizzazione

A dispetto dei neo nazionalisti il mondo continua la sua marcia verso l’unità. L’importanza della logistica, la “forza degli occhi”. Parla Sabino Cassese

Il presidente americano, violando le sue leggi (Bruce Ackerman l’ha dimostrato in maniera persuasiva), fa un atto di guerra in un altro Stato. La Libia è divisa e l’Onu, pur interessato ad appoggiare uno Stato unitario, non riesce a unire coloro che appoggiano le due parti in cui il paese è diviso. Antiche tensioni si acuiscono, come quelle in medio oriente. Risorgono nazionalismi (Ungheria e Polonia). Dobbiamo preoccuparci? Il mondo è più diviso? La globalizzazione arretra?

Cominciamo dai dati, senza dei quali dovremmo fare ragionamenti fondati su episodi. Il commercio mondiale di beni e di servizi è stabile o aumenta, nonostante la crisi, nell’ultimo decennio. Nell’ultimo quarto di secolo, il numero di città collegate internazionalmente per via aerea è raddoppiato. E’ quasi raddoppiato, nell’ultimo decennio, il numero di passeggeri internazionali per chilometro. Il numero dei migranti internazionali è ora di 272 milioni, con un aumento di 51 milioni in meno di un decennio, dal 2010. Il quadro che questi dati presentano è confortante: a dispetto dei neo-nazionalisti, nonostante confini e barriere vecchie e nuove, il mondo continua la sua marcia verso l’unità.

  

Ma vi sono anche potenti forze contrarie, che contrastano questo progresso, e che potrebbero bloccarlo.

Che sono, a loro volta contrastate da interessi e idee nella direzione opposta. La globalizzazione ha fortemente contribuito alla riduzione delle diseguaglianze a livello mondiale, ha portato un certo grado di benessere in tanti angoli della Cina, dell’India, dell’Africa. Pensa che le masse che hanno beneficiato in questi anni di questo minimo di benessere vogliano farselo sottrarre?

 

Ma quanto contano quelle che chiama “masse”?

Se non le bastano, le citerò le industrie. Se è vero che oggi non si produce più nello stabilimento industriale, quello dove Ford produceva le sue auto, dalla prima all’ultima vite, compresi gli pneumatici, ma mediante le “global value chains” (pensi ai freni delle auto tedesche prodotti in Italia), questa “fabbrica diffusa” in più paesi ha bisogno che i rispettivi paesi dialoghino, cooperino, seguano alcune regole uniformi. Perché diventa così importante la logistica, se non per il fatto che bisogna mettere in sintonia catene produttive che si espandono ed estendono in posti diversi del mondo? Eccole un’altra potente forza a favore della globalizzazione.

 

Anche questo non basta. Lei ha più volte citato Keynes: “Presto o tardi sono le idee, non gli interessi costituiti a essere pericolose, nel bene e nel male”.

Anche per questo sono ottimista. Il “sogno globalista” (così Raffaella Baritono, in una bella rassegna degli ultimi libri sull’ideale globalizzatore, pubblicata nel numero 5 del 2019 della rivista il Mulino) ha radici lontane e sempre più seguaci. Questi ultimi non sono soltanto nelle schiere degli “internazionalisti”, ma anche tra coloro che ritengono che l’universalizzazione di un certo strato di idee, princìpi, istituzioni, concetti, serve a fini nazionali, per diversi motivi. Perché aiuta le forze interne a tenere sotto controllo le pulsioni separatiste e le tensioni prodotte dagli antidemocratici. Perché, mettendo sotto gli occhi dei vicini le democrazie nazionali, può correggerle.

 

Le pare che basti?

Non basta. Infatti, ci sono al lavoro altre due importanti forze. La prima la definirei la “forza degli occhi”. Da quando la televisione consente di vedere quel che succede in altre parti del globo (meno di mezzo secolo), fatti, eventi, costumi, episodi di altre parti del mondo arrivano a casa di chiunque, suscitando reazioni salutari. La seconda è la forza della cultura: le “società scientifiche” transnazionali, l’integrazione dei saperi una volta nazionali, gli scambi di studiosi. Pensi soltanto che trent’anni fa sarebbe stato impensabile che un gruppo di storici si riunisse per scrivere una Storia economica globale del mondo contemporaneo, come quella, eccellente, curata da Carlo Fumian e Andrea Giuntini per l’editore Carocci (2019).

 

Ma davvero basta tutto questo per vincere le diversità, spingere gli uomini a superare le differenze, per cercare ciò che li unisce, invece di coltivare quel che li divide?

Ora mi spinge in un campo minato. Innanzitutto, non si tratta di “vincere le diversità”, ma piuttosto di trovare quel tanto di linguaggio, di valori, di idee comuni che ci consentano di riconoscere e accettare le diversità. Poi, visto che ha citato Keynes, le citerò un altro brano del grande economista: “La difficoltà non risiede nelle nuove idee, ma nel sottrarsi alle vecchie che […] ramificano in ogni angolo della mente” (a proposito, visto che ci stiamo diffondendo sul pensiero di Keynes, voglio riportare la citazione dell’ultima splendida edizione mondadoriana, dovuta all’impegno straordinario di Giorgio La Malfa: John Maynard Keynes, Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta e altri scritti, a cura di Giorgio La Malfa, Milano, I Meridiani Mondadori, 2019, 1.328 pp., 80 euro). Infine, a favore della globalizzazione c’è la forza dei sogni. Erano sognatori, ad esempio, quei grandi studiosi che si riunirono a Chicago, subito dopo lo scoppio della prima bomba atomica in Giappone, a opera di un italiano, Giuseppe Antonio Borgese, con l’appoggio di eminenti “emigré”, come Thomas Mann per scrivere una “World Constitution” (un bel libro di Or Rosenboim, The Emergence of Globalism. Visions of World Order in Britain and The United States, 1939 – 1950, Princeton University Press, 2017 descrive questo ed altri sogni). Insomma, contano interessi, idee, sogni. Anche di questo è fatto il mondo, a dispetto di Salvini e dei suoi simili.

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