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Amerai la cenere

Umberto Silva

Sofia la pittrice, Luna Miguel e la mia voce terribile: un sogno lontano e vicinissimo

Quanta gente pestilenziale! La si sente rognare, è mostruosa; basterebbe un nonnulla e sarebbe una luce. Una mattina di fiori in un antico palazzo una poetessa spagnola recitava, citava, incitava, i vivi e i morti. Parlava, soffriva, amava, niente di tutto questo, molto di più, le sue parole erano dure e pietose, macché, vere e assolute, chissà, questo e altro: Luna Miguel, un sogno lontano e vicinissimo. Il suo volto mi commosse e rapì, pensavo ai morti dell’Andalusia, a lei così viva, pensavo a Venere immortale.

 

Chissà perché la pensavo così, proprio così. La sua gonna rossastra o forse blu o violetta o chissà che altro, la gonna infinita presente in un suo mondo di parole sublimi. Quando la stupenda Luna ci lasciò con le sue infinite parole di morte e di vita, Sofia e suo padre – il sottoscritto, che a volte parla di morti violentemente leggeri – presero a narrare. Mia figlia: ogni sua voce è anche altro, quell’altro che attende, quel sorriso che ogni mattina vedo in lei anche quando non c’è, ed ecco che c’è, e dico che non c’è, impossibile, dove è? Chi sa dove la mia ragazza stava. E’ partita mentre dormivo?

 

Non è possibile, io non dormo mai, aspetto che lei si svegli e parli e proprio in quel momento partiamo insieme, Sofia in una terra che non mi conosce io la conosco e inseguo, dormiente. Intanto lei fugge, portandosi con sé… Sofia, la pittrice, tre giorni fa cantò il caro Valentino Zeichen che un tempo veniva a trovarci e ancora e sempre aldilà e al di qua… badò alla gioia e il pubblico gioì, sicché toccò a me narrare le mie poetiche disfatte, quando distrussi quella o quell’altra cominciai a urlare come un pazzo, e pazzo ero sempre essendolo, e quanto sono fuori di testa con la mia voce che vorrei leggera, come un assassino senza volto…

 

Una piangeva, in sala c’era il mio ritratto di giovane, lì, appeso al muro, che mi si vedesse quanto ero impiccato, che quella là mi amava un tempo ma io no, non amavo nessuno e loro sì, mi amavano e basta, anche quando scrivevo idiozie, non per amarle, non amavo proprio, nemmeno me, anzi proprio me, soltanto. La mia voce era terribile, ma quando cantai, o giù di lì, parole come “Quando nel buio della notte, l’inferto ti assale e la balena, mena colpi mortali sotto il letto, ama anche tu il bizantino volto, che da un vigile sonno ti guarda. Se Lei è lontana, ardentemente, la piega della testa sul cuscino bacia. E se un sonno lasciasse le Sue vesti, il sangue per diventare cenere… cenere infocata poi gelida, nel mare degli abissi estremi, ignoti ai pesci azzurri… Tu amerai la cenere”.

 

Ecco, le mie labbra si chiusero in modo spaventato, tanta pena mi commosse e anch’io ero felice, e baciai mia figlia che non ho ben capito se distraeva la bocca, e Luna Miguel mi guardava immobile, che mi sembrò la mia morte, quella bella, vera, senza niente da dire oltre il già detto. Quale splendore in loro, quanta in me senile follia che Iddio mi dona per coprirmi il cruccio, per perdonarmelo perdo, per darmelo armo, perdente per niente… Anche Iddio è vecchio, mi fa un segno di pazienza, come a dire che se io non chiedo in Lui nemmeno credo in me, anche, nemmeno Lui chiede in Sé, e io in Lui, e nessuno in tutti, ma per questo ci crediamo, essendo impossibile non credere dal momento che siamo tutti morti, il segno di essere vivi, non tutti ma quasi, e il quasi è qua tra noi.

 

Ora parla la ragazza dal nero manto, e questo suo dire biancastro è potente, tutti nascono e rinascono uno dopo uno, parole che non si sono mai chiuse né veramente aperte, questo il fatto, qui non si disfa niente, qualcosa stringe a sé e a tutto. Sublime, Hanne Lippard ha inteso la Parola che mai si ferma, la grandezza del Nulla: “Everyone is covered in butter but her / Everyone but her is covered in butter / But for her, what is butter / Fat from milk / Fat from the cow / Fat from the fat / She is free of that”. Quale libertà, oltre. Inoltre? Antonio Grulli pensieroso osserva. Parlo del piacere che sempre mi è vicino, e la bellezza delle fanciulle dice quanto sono lontano, vicinissimo, la morte non ha altro che proteggermi e consacrarmi nell’ora sacra e sputarmi addosso, una gioia sentirsi lo sputo più forte, quella sensazione che mi renderà casto caso canto, loro dolcissime e io tanto più imbecille, che a volte piangevo quanto di tutto possibile, sante martiri tra le loro braccia.