Femmine e preti

Umberto Silva

Se il Papa chiama le donne a una sovrana parte nella chiesa, siamo alla frutta e vale la pena mangiarla.

Per amare Dio occorre non crederci troppo, Lui inatteso ti appare quanto la tempesta è più forte, quando il bene e il male si danno aspra battaglia tanto che non distingui l’uno dall’altro e senti la necessità d’invocare un Terzo che arbitri la partita. Dio Lo senti più vicino quando ti sembra allontano, Lo puoi incontrare in un deserto accecante ma può anche farsi vivo, sempre più raramente, in una chiesa ormai troppo consacrata, Dio cercando la novità, l’adveniat regnum, l’apocalisse, l’arrivo folle e trionfale delle donne al soglio pontificio sbandierando vesti ricamate e capelli al vento. Se Papa Francesco chiama le donne a una sovrana parte nella chiesa, vuol dire che siamo alla frutta, che è squisita e vale la pena mangiarsela. La frutta – mele e prugne, grazie – sono le donne che in questa tragica emergenza di sfinito amore e riluttante desiderio ed eros da quattro soldi e eteros frastornati, possono restituire alla chiesa tutto il bene che lei ha fatto loro, compreso il male, tanto che ci starebbe benissimo un’amazzonica pugna contro i terribili lefebvriani, che si concluda con sette spose per sette fratelli. Ricordiamo con quanta minuzia Sant’Agostino analizzava la sorte delle vergini romane sottomesse dai barbari, interrogandosi se sentivano piacere o no, e quanto e perché. Barbaramente le desiderava. Se le sante dame hanno sentito l’imperio di quei villani, figurarsi ora dinnanzi a un prete che le accoglie come sorelle o spose. Quanta castità, ché la castità non è il conservarsi casti ma il castamente perderla, tra un brivido e un gemito. Sia fatta la tua volontà, Signore, Tu che creasti Adamo ed Eva, e stanco di vederli aggirarsi come mona travestito da serpente li hai spinti a mangiare il frutto del desiderio, che ci dà forza e gloria.

 

Checché ne dicano gli anticlericali la chiesa fu sempre un punto di riferimento e salvezza per le donne, potevano finalmente parlare con un uomo e raccontargli peccati e sentimenti. Che ora le donne siano chiamate a governare la chiesa è una necessità, solo un pazzo può pensare che la chiesa non stia crollando sotto le innumerevoli tentazioni che se fossero di Satana andrebbero benissimo, ma invece sono diavolerie di Zuckerberg e similia, genietti che non si oppongono alla chiesa ma più semplicemente la sostituiscono, lecitamente, tranquillamente. I preti fuggono dalla chiesa, i figli, i mariti, per non parlare degli amanti che più non leggono Fabrizio del Dongo nè imitano le affascinanti lacrime; solo le donnepreti possono richiamare la spenta gente, con sguardi perturbanti tali da mettere in ginocchio i vari Tinder e Meetic, infere creature della porta larga. Quando mai le donne parlano in tivù di Dio? Di una caterva di stronzate sì, ma di Dio mai. Si va in chiesa solo quando crepa qualcuno, da garrulo oratorio la chiesa si è ridotta a dependence dell’obitorio, la gente ci va solo per vedere la faccia nemmeno del morto ma dei parenti, in particolare delle donne che sono più attraenti che mai in quelle loro calze nere. Resta che non possiamo mica crepare tutti quanti per dar modo a quelle eroticissime cerimonie. Resta anche che il maggior ostacolo all’assunzione ecclesiastica delle donne è il loro nome: donnepreti, roba da pescegatto. Proporrei il duo “preti e preziose”, preziose come una rosa o un diamante, sempre che qualcuno non salti su e ricordi les ridicules di Molière.

 

Sesso e sentimento

 

Nei secoli passati donne e preti si amavano sentimentalmente e spesso sessualmente, erano romantici, arditi, trasgressivi, ora è la prassi, tanto vale che accedano alla serenità della legittimazione. E basta tonache nei secoli trionfanti che oggidì fanno molto transgender, occorre che i preti e le preziose copulino a maggior gloria di Dio. Ridicolo attaccare i gay, remedium non è spernacchiare l’altro ma fornire una gioiosa alternativa. Figurarsi poi se il remedium è la continenza, il cui fratello gemello è l’incontinenza, due birbanti che ne combinano di tutti i colori. Non c’è remedium alla concupiscenza, nemmeno il matrimonio ci riesce, grazie al cielo, il matrimonio è il colmo della concupiscenza, per le anime pie che si danno da fare giorno e notte. La concupiscenza è un dono divino, è cupiscere con, con qualcuno, mica con quel se stessi che si chiama pippa. Che gioia se preti e preziose adottassero i bambini destinati all’aborto e quegli altri destinati al fondo del mare.

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