Il ponte di Waterloo

Umberto Silva
Perché gli inglesi sono così diversi da noi quando ricordano i loro morti in battaglia

    Come ogni anno arriva in Inghilterra il Remembrance Day, a consegnare all’eternità quei ragazzi che cent’anni fa donarono la vita per la propria e altrui patria senza mai esitare, gettandosi a morire nel fango della Somme, sospinti da un ingenuo entusiasmo e da spietati generali. Ecco i reali d’Inghilterra camminare costeggiando le bianche tombe tra i prati fioriti, e con loro i soldati, i politici e i figli dei reduci: che portamento regale in tutti quanti, altro che i nostri governanti che anche nei funerali, là dove una lacrima ci starebbe, sembra parlino sempre di fottere qualcuno e di rubare qualcosa. Perché tanta differenza? Perché, con l’eccezione dell’impenetrabile Afghanistan, gli inglesi hanno sempre vinto le loro battaglie e se ne percepisce la fierezza. Nella Prima Guerra mondiale i pur valorosi soldati italiani nemmeno sapevano contro chi combattevano e perché, e nemmeno dopo l’hanno saputo e ho l’impressione che mai lo sapremo. Una profonda consapevolezza si staglia invece sui volti inglesi; nonostante – o grazie al fatto – che litigano e minacciano scissioni scozzesi, gallesi, irlandesi, sanno come si fa una guerra e la si vince. Bello morire anche sapendo che una donna ti ama al punto di riuscire a non piangere sulla tua bara.

     

    C’è un film, “Waterloo Bridge”, che la dice lunga sulle guerre inglesi e sulle loro donne, un film prodotto e girato in America da Mervyn LeRoy ma profondamente inglese grazie alla sua eroina Myra, alias Vivien Leigh. La storia è nota: l’ufficiale britannico Roy Cronin, alias Robert Taylor, incontra la giovane Myra e se ne innamora perdutamente ballando il “Valzer delle Candele” che benevole si spengono per favorire gli amanti. Roy propone a Myra di sposarlo prima che lo chiamino al fronte, ma il fato altrimenti dispone: lui combatte, lei danza, finché arriva la notizia della morte in battaglia di Roy. La ragazza crolla, si prostituisce. Ma la morte di Roy era un falso allarme, un paio di anni dopo, alla stazione dove Myra è solita battere, il bel capitano le si para innanzi. L’amore lo acceca, o lo illumina chissà; abbraccia la ragazza, pensa che sia lì per lui, la bacia, la vuole sposare subito. Lei gioisce, ma ben presto il senso di colpa la travolge e sul fatale ponte si getta sotto un camion. Quanta fretta, signorina, quanta fretta di diventare puttana, quanta fretta di morire! Quante volte mi sono chiesto il perché di tutta questa fretta, e ultimamente penso che l’essere interpretata da Vivien Leigh abbia assai contribuito alla sorte della sfortunata Myra. Anche la precedente incarnazione di Vivien, la sudista Scarlett O’Hara, era un po’ strana, sopra le righe diciamo, ma, diversamente da Myra, più che rallegrare i soldatini in licenza Scarlett torturava i mariti con il suo ostinato negarsi alle gioie dell’eros coniugale. All’ennesima sfuriata e tradimento della moglie Vivien, Lawrence Olivier si lamentò pubblicamente per quella sua repentina violenza che ora chiamiamo bipolarismo.

     

    Adorabili teste dure

     

    Teste dure le inglesi, per questo adorabili come l’orgogliosa Elizabeth di Jane Austen, e come Myra, disposta a morire per non rovinare la carriera dell’amato, anch’egli un aristocratico alla pari di Darcy ma assai meno pregiudizioso. Tuttavia in Myra c’è anche dell’odio, per se stessa e per lui. Non perdona a Roy di essere morto e tantomeno di essere risorto. La ragazza non ha creduto al ritorno di Nessuno e se l’è fatta con tutti, con proci assai più sbrigativi di quelli omerici ha intessuto una tela di lubrichi sguardi che non può disfare, i soldati che l’hanno posseduta riderebbero a vederla al braccio del loro comandante. Cerca di scrollarseli di dosso, ma non ha la disinvoltura di Scarlett e soccombe alla colpa. Che dire? Myra è una pasticciona ma Vivien è tremendamente affascinante sia da casta giovinetta che da cinica puttana, evviva il bipolarismo! Folle anche il film di LeRoi a uscire nelle sale con Robert Taylor che vent’anni dopo, nostalgico della defunta Myra, passeggia sul ponte di Waterloo caro alle luminose nebbie di Monet e di Derain… proprio nello sciagurato giorno in cui i nazisti bombardarono Rotterdam. Per punizione il Waterloo Bridge sarà l’unico ponte londinese sfregiato dalle bombe tedesche. E’ la centesima volta che guardo “Il ponte di Waterloo”, ancora m’identifico con il comandante Roy Cronin e con la sua truppa, sicché ogni volta che sbarco alla Victoria Station mi guardo attorno cercando l’invitante sorriso e il berretto spavaldo di Myra Vivien. Quando mi sembra di vederlo, e sempre mi sembra… God save the Queen, a perderci negli oscuri sotterranei dei desideri ci pensiamo noi.