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Una mucca nel corridoio di nome Grasso

Giuliano Ferrara

Il nulla ideologico, culturale, politico. Auguri sinceri al presidente del Senato

Chiamare “articolo 1” un partito, passi. Ma chiamare Pietro Grasso alla sua guida, questo è più dubbio. Io lo avrei chiamato “Bandiera rossa”, e alla guida o un boss riconoscibile come D’Alema o Bersani oppure una bella operaia di Gambettola o un giovane strafico molto diverso dal professionista triste che allude alla Speranza escatologica ma produce Velleità verbali malinconiche. Cuperlo forse no, per via dell’eccesso “povetico”, a parte che sta soffrendo in un altro partito. Ma Grasso.

 

Primo, non lo conosce nessuno. Chi ha fatto televisione e magari un po’ di politica sa che non è facile farsi riconoscere. Appena ti distacchi dal mezzo, che è il messaggio (come diceva McLuhan, quello che secondo Duccio Trombadori “ha scoperto l’importanza della radio”), subito ti danno per morto. Ma almeno come caro estinto di te si ricordano, se hai fatto una buona performance di cazzaro per un numero considerevole di anni. Grasso: nessuno sa chi sia. E’ un’ombra istituzionale, un magistrato che riproduce un vizietto togato della vecchia sinistra, una faccia senza temperamento, uno che non ha mai avuto niente da dire, e ha letto maluccio discorsi di altri funzionari, e che ha sempre avuto il problema di dove sedere, uno che ha dato al Cav. l’Oscar per il contrasto alla criminalità organizzata (meritato, ma non da lui, non alla radio, non per bieco opportunismo). Grasso è il nulla ideologico, culturale, politico, un tecnico dell’autopromozione, un sottoculturale bon à tout faire.

 

Nella divisione del lavoro sta dalla parte dei burocrati, non ha mai frequentato proletari, contadini, rivoluzionari professionali, per lui la sinistra e anche il centrosinistra sono ritrovati scaldadivani. Non ha mai battuto la piazza in cerca di voti, se li è fatti portare su un vassoio di peltro. Ha staccato il biglietto della lotteria bersaniana, all’epoca dei governi grillini che non sono mai nati, è la mucca nel corridoio che staziona per cinque anni in un posto fisso, poi si decide d’improvviso a diventare il capo dei rivoluzionari per tornare al posto fisso, sarà il problema principale della nuova formazione, dico la sua faccia anziana, sbiadita, che parla a pochi. Fate la prova se non ci credete. Uscite di casa e prendete dieci persone: due vi diranno che presiede un ente inutile, anche se hanno probabilmente votato No alla sua abolizione per dispetto a Renzi, e gli altri otto vi guarderanno smarriti: Grasso chi?

 

La mafia è stata un fenomeno importante. Ci hanno pensato Falcone e Borsellino. Sulla loro scia tanti, ma spesso dispersi in un rivolo di incarichi nullatenenti, di affabulazioni senza succo, di carriere antimafiose subliminali, naturalmente con ampia scorta, ci mancherebbe ed è giusto, con qualche inchiestina e qualche processo sbilenco, una quantità inverosimile di interviste inutili. Ci sta da Dio, ha detto Bersani, come leader dell’articolo 1, e non aggiungo nulla al suo giudizio illuminato, vittorioso, effervescente. Conoscere la politica, il proprio paese, la letteratura storica sul movimento operaio, anche la modernità di una politica e antipolitica nuove, conoscere ed essere conosciuto, riconosciuto come un simbolo riformatore, trasformatore: sono qualità che gli mancano, insieme all’energia che è notoriamente di due sole categorie: i giovani e Berlusconi.

 

Eppure gli porteranno i fiori alla fine del comizio, come una volta a Peppino Stalin, a Di Vittorio, a Togliatti, a Berlinguer, a Cernenko, l’unico cui somigli, e diranno di lui che è il leader necessario. Un rassembleur, ma de che? Jean-Luc Mélenchon è un seduttore, si è guadagnato voti e posizione politico-parlamentare, ha fatto scelte difficili al momento giusto, ma tanto tempo fa, e ha condotto battaglie chaviste in terra di Francia, declamando poesie umanitarie al porto di Marsiglia, ottenendo successi inconfortevoli, ma successi. Ora blandisce i deputati macroniani, come racconta maliziosa Libération, e si fa omaggiare. Vuole capire, intrigarsi, inserirsi, da vecchio trotzkista, dopo aver conosciuto il dolore della lotta, della sconfitta, della mezza vittoria. Vuole fare un club degli amici di Robespierre ed erigergli una statua in Parlamento, quando tutti dovrebbero sapere che a Parigi non c’è nemmeno una piccola rue Robespierre: vaste programme. Ma è un programma, che nasce da un’esperienza. Grasso è un’inesperienza senza programma. Perfetto per un articolo 1, ci sta da Dio.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.