Lo scrittore Ko Un

Il poeta a cui piaceva far l'amore

Giulia Pompili

Lo scrittore Ko Un probabilmente dal prossimo anno non verrà più studiato sui libri di scuola. Ci sta pensando il governo di Seul, che ha preso molto sul serio le accuse di molestie rivolte contro l'artista

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In primo piano: #MeToo alla coreana

 

 

(In realtà è una seconda puntata, perché all'inizio dell'anno vi avevamo raccontato anche la storia del direttore d'orchestra Chung Myung-whun, molestato da una donna)

 

E' sempre il mondo della cultura, qui, a trovarsi al centro delle polemiche. L'ottantaquattrenne Ko Un, poeta, scrittore, saggista e uno dei sudcoreani più famosi del mondo, uno che viene periodicamente candidato al premio Nobel per la letteratura, probabilmente dal prossimo anno non verrà più studiato sui libri di scuola. Ci sta pensando il governo di Seul, che ha preso molto sul serio le accuse che sono state rivolte contro l'artista.

 

La prima ad aver accusato Ko Un è stata Choi Young-mi, un'altra poetessa molto famosa in Corea. Lo ha fatto in prima serata, in tv, dicendo che molte sue colleghe hanno ricevuto lo stesso trattamento. Anche se Choi non ha citato direttamente Ko Un, tutti hanno subito capito a chi si riferisse. "Persone come lui sono membri dei principali comitati editoriali, attraverso i quali gli aspiranti scrittori e poeti fanno il loro debutto o pubblicano le loro opere. Se qualcuno rifiuta le loro richieste sessuali, si vendicano, e le loro opere non saranno scelte per la pubblicazione".

 

"All'occhio del pubblico, era un'anima letteraria che cercava il significato della vita quotidiana attraverso temi naturali e sociali, con i ritmi informali.  Nella sua vita reale era tutt'altro che nobile, un molestatore seriale che approfittava del suo status nel mondo letterario", ha scritto Kang Hyun-kyung sul Korea Times.

 

Tutti sapevano, nell'ambiente letterario, scrivono oggi molti giornali coreani.

 

C'è poi un'altra polemica. Le ragazze della nazionale sudcoreana di curling (ne abbiamo parlato nelle scorse Katane) si sono trasformate in una discussione sul porno giapponese (quasi).

 

PENISOLA COREANA

  

Il presidente sudcoreano Moon Jae-in ha telefonato l’altra sera al presidente americano Donald Trump per “comunicargli” – così dice la Casa Blu di Seul – che invierà un rappresentante speciale a Pyongyang. Nessuno conosce il nome di questa persona, ma di sicuro si troverà a dover iniziare i “veri” colloqui con la Corea del nord. L’unico presupposto per riaprire un tavolo di trattative al quale invitare anche l’America, infatti, è che Kim Jong-un si trovi disposto a mettere in discussione il suo arsenale nucleare.

 

Nelle stesse ore un'inchiesta di Jim Sciutto e Dana Bash della Cnn andava nella direzione opposta: "L'Amministrazione Trump prende in considerazione l'ipotesi un'azione militare contro la Corea del nord nel caso in cui lo stato canaglia costruisca con successo un missile nucleare in grado di colpire gli Stati Uniti– lo rivelano varie fonti che sono vicine all'Amministrazione. Alti funzionari della Sicurezza nazionale ritengono che il regime armato di armi nucleari rappresenti un rischio inaccettabile per gli Stati Uniti". Abbiamo una red line di Trump?

 

Da considerare anche l'editoriale sul Wall Street Journal di John Bolton, non proprio un sostenitore della linea di dialogo (ma molto ascoltato alla Casa Bianca) che dice, in parole povere: voi sostenete che non ci siano basi legali per un attacco preventivo contro la Corea del nord, perché Pyongyang non sarebbe una "minaccia imminente". Ma secondo me lo è.

 

La notizia non è stata presa bene in Corea del sud, e per ovvi motivi. Un po' perché tutta la strategia del democratico Moon Jae-in funziona con un silenzio assenso americano, ma se Trump decide di rovesciare il tavolo i primi a perderci (proprio in termini di reazione fisica) potrebbero essere i sudcoreani.

 

Il problema delle armi chimiche. Da qualche settimana girano le prime rivelazioni del nuovo report del panel di esperti dell'Onu che indagano sull'efficacia delle sanzioni economiche imposte su Pyongyang. Il report è interessante non solo per via delle sanzioni, ma perché è un enorme contenitore di informazioni di intelligence. Già da qualche report fa (anche quelli di medio termine) si poteva intuire chiaramente che gli esperti erano sulle tracce di alcuni collegamenti loschi tra la Corea del nord e la Siria. Adesso, secondo le prime indiscrezioni uscite (a dire il vero, prima) su Afp e (poi) su questo articolo di Michael Schwirtz sul New York Times, la Corea del nord attraverso un sofisticato impiego di cargo porterebbe armi anche non convenzionali sia in Siria sia in Myanmar.

 

Il report completo sarà pubblico il 14 marzo prossimo (una quindicina di giorni di ritardo sul solito periodo di pubblicazione di fine febbraio). Un intero paragrafo è dedicato alla Siria ma ce ne sono molti dedicati anche ad altri paesi. Il fatto che già da un po' gli esperti delle Nazioni Unite abbiano fatto trapelare delle notizie sulle informazioni raccolte negli ultimi dodici mesi ci racconta qualcosa di più anche dell'ultima tornata di sanzioni economiche imposte dal Tesoro americano contro la Corea del nord. Ne abbiamo parlato nelle scorse Katane, ma non a caso sono tutte contro compagnie di navigazione (non solo nordcoreane) e singoli cargo.

 

Nel frattempo, un gruppo di giornalisti del Wall Street Journal è andato a vedere quanto le sanzioni economiche stanno ammazzando i rapporti tra Cina e Corea del nord sul confine cinese, tradizionale luogo del mercato nero (spoiler: tanto).

 

Il problema delle criptovalute. Secondo Priscilla Moriuchi, analista della società di intelligence Recorded Future, la Corea del nord sta facendo parecchi affari con la moneta virtuale. Secondo l'analista, Pyongyang guadagnerebbe tra 15 milioni di dollari e i 200 milioni (una forbice piuttosto larga) creando e vendendo criptovalute, per poi trasformarle in denaro. Il tutto eludendo, naturalmente, le sanzioni economiche internazionali. Nel novembre scorso si era sparsa la notizia che all'Università di Scienza e tecnologia di Pyongyang si tenessero degli autorevoli corsi sui Bitcoin – che anche all'epoca la Moriuchi aveva vagamente criticato. A tenere le lezioni c'era un italiano, Federico Tenga, fondatore e ceo di Chainside (qui una sua intervista).

 

La storia più divertente della settimana è però quella tirata fuori da Reuters: secondo alcune fonti dell'agenzia, Kim Jong-il e suo figlio Kim Jong-un negli anni Novanta visitarono alcuni paesi occidentali attraverso passaporti falsi di nazionalità brasiliana.

 

L'ORIENTE (DIMENTICATO) DI GIUSEPPE TUCCI

 

 Giuseppe Tucci sul passo di Rohtang (Himalaya indiano), 1933 (foto Ismeo)

 

Grazie al Riempitivo di Pietrangelo Buttafuoco di oggi che ha segnalato un articolo di Federico Rampini su Repubblica di ieri. Rampini si esercita sull’orientalista Giuseppe Tucci, fondatore nel 1933 dell’IsMEO insieme con Giovanni Gentile, ma soprattutto uno degli studiosi dell’oriente (in particolare del Tibet) più importanti della storia. Rampini racconta di una mostra allestita all’Asia Society Museum di Park Avenue a New York, che si chiama "Unknown Tibet", "composta di una selezione di varietà e vastità eccezionali di reperti dell’iconografia buddista. È anche il frutto di una collaborazione italo-asiatica senza precedenti: si tratta infatti della prima esibizione mai organizzata nell’emisfero occidentale degli oggetti raccolti in otto spedizioni nelle zone più remote del Tibet tra il 1926 e il 1947 dallo studioso, esploratore, linguista e storico marchigiano Giuseppe Tucci", scrive su La Voce di New York Mauro Lucentini.

 

L'Asia Society ha ottenuto in prestito i famosissimi reperti di Tucci per via della (momentanea) chiusura del Museo d'Arte Orientale di Roma, un piccolo gioiello nato nel 1957 proprio grazie all'Ismeo e che fino a poche settimane fa si trovava nella sede storica, quella di Palazzo Brancaccio. Da anni si parlava di trasferire il museo in altra sede, perché quella di Palazzo Brancaccio era troppo costosa (lo spiega ArtTribune qui). Alla fine si è deciso che il museo fosse spostato all'Eur, al Museo delle Civiltà, dove già da un mese sono state allestite due mostre temporanee proprio per dare continuità alle esposizioni.

 

Non è mancata qualche polemica a proposito del trasferimento – l’abbandono della sede storica rischia di tradire l’originale collocazione e allestimento – e sui tempi. Altri dubbi sullo spazio che all’Eur verrà dedicato al vecchio "Museo Tucci": sarà sufficiente per esporre, come merita, un patrimonio italiano così importante? Ma il vero problema, al di là delle questioni risolvibili, riguarda l’intera eredità di Giuseppe Tucci e l'incapacità dell'Italia di valorizzarla senza fare prima i conti (e la pace) con il proprio passato.

 

La “questione Tucci” è infatti, da sempre, una mai risolta questione politica e di pregiudizio culturale. E' stato uno dei più grandi orientalisti del mondo ma in Italia, da sempre, in alcuni ambienti accademici e non solo, viene etichettato esclusivamente come "l’esploratore del Duce". Quando nel 2010 a Roma gli fu dedicata una piazzetta si scatenò il putiferio, per via della sua (mai confermata) firma del Manifesto della razza. Nelle sue "esplorazioni", Tucci aveva il massimo sostegno da parte di Mussolini. Senza quei finanziamenti non avremmo potuto conoscere gran parte della tradizione buddista del Tibet – non oggi, non con la Cina di oggi. I due avevano obiettivi diversi, per Mussolini si trattava di quello che oggi chiameremmo "soft power", per Tucci era solo sete di conoscenza. E’ un caso comune nella storia dei rapporti tra politica e cultura. Nel caso di Tucci avrebbe riconosciuto, dopo tanti anni, che si è trattato di un rapporto non sospettabile di collusioni o crimini. In più, quella sete di conoscenza Tucci non la tenne per sé, visto che donò ogni reperto al museo e tutto il suo sapere a disposizione del mondo accademico. Il quale, dopo il 1943, tentò in tutti i modi di cancellare la sua eredità. Evitando invece quella distinzione tra i piani che invece oggi dovrebbe essere finalmente operata.

 

In ogni caso, tra poco i reperti prestati all'America saranno riconsegnati (a proposito, qui c’è il catalogo della mostra newyorkese, a occhio vale la pena), il museo d'arte orientale riaperto. E perfino l'Ismeo è rinato come associazione e grazie ad Adriano Valerio Rossi, linguista, filologo e iranista. Si occupa di promuovere la cultura tra occidente e oriente. Oggi come allora.

 

GIAPPONE

 

  

I nuovi dazi sull'acciaio annunciati da Donald Trump stanno preoccupando non poco i paesi asiatici.

 

Il primo ministro Shinzo Abe e il presidente sudcoreano Moon hanno ripreso a litigare forte per le donne di conforto. La marcia dell'indipendenza sudcoreana del 1° marzo è infatti diventata, con la presidenza Moon, una occasione per tornare sulla questione e aumentare il sentimento antigiapponese in Corea.

 

Nel frattempo, Abe ha dovuto rinunciare ad alcune parti della sua riforma del Lavoro dopo numerose critiche arrivate dal suo stesso Partito liberal democratico. Abe è in un momento delicato perché spera di essere rieletto leader del partito a settembre per la terza volta (e il suo principale concorrente potrebbe essere Taro Kono).

 

Sono iniziate le audizioni di Haruhiko Kuroda, governatore della Banca centrale giapponese, il cui mandato terminerà il prossimo 8 aprile e che molto probabilmente verrà riconfermato per un secondo – un evento rarissimo in Giappone. Lui ha detto che vuole continuare a contribuire, con la Boj, allo sviluppo dell'economia giapponese, e in effetti Kuroda sin dal 2012 si muove come una specie di quinta colonna dell'Abenomics.

 

Nel frattempo, Kuroda ha detto che valuterà di mettere fine alla politica monetaria ultra-espansiva se riesce a raggiungere gli obiettivi in termini di inflazione nell’anno che chiude a marzo 2020, spingendo lo yen al rialzo e innescando vendite sui bond.

 

Il più famoso fotografo giapponese vivente si chiama Nobuyoshi Araki, ed è noto soprattutto per le sue fotografie che "provocano il senso comune del pudore, la libertà d'espressione", insomma, il politicamente corretto. Per intenderci, la sua serie più famosa è quella in cui lega le donne, roba che oggi sarebbe in stato d'arresto pressoché ovunque. E invece il New York Times gli dedica un lungo ritratto in occasione dell’apertura, nella Grande Mela, della sua più grande retrospettiva, al Museo del sesso.

 

A proposito di sessualità. Esce in questi giorni “A Tokyo Romance” di Ian Buruma, lo storico saggista olandese naturalizzato britannico che da quasi un anno è pure il direttore della New York Review of Books. Buruma – che arrivò ventenne negli anni Settanta a Tokyo per studiare cinema – in questo libro racconta la sua completa immersione nella cultura nipponica, e di come lo trasformò in un uomo. Non mi è ancora arrivato, ma vale la pena solo per l’aneddoto raccontato da più parti che ricorda “Lost In Translation” di Sofia Coppola – ovvero il giovane Buruma che ha fatto per ben due volte la pubblicità del Suntory whisky.

 

Il secondo giapponese a prendere il comando della Stazione spaziale internazionale nella storia sarà Akihiko Hoshide, ingegnere e astronauta esperto.

 

CINA

 

La settimana si è aperta con una delle notizie più importanti della storia asiatica. Il presidente cinese Xi Jinping vorrebbe eliminare il limite di due mandati del presidente, e la questione è stata spiegata diffusamente. Il giorno dell'annuncio, le aziende cinesi con le parole simili a "imperatore" nel nome hanno guadagnato in Borsa (stranezze dei mercati finanziari), ma sembra che ci sia stata troppa fretta da parte di Xinhua, l'agenzia di stampa ufficiale di Pechino, che ha lanciato la breaking news in inglese, chiarissima. Così ci sono state dimissioni eccellenti, qualche mal di pancia, secondo le indiscrezioni trapelate da Hong Kong e quindi da prendere con le pinze.

Intanto in occidente si parla del "nuovo imperatore", "Last weekend China stepped from autocracy into dictatorship" è l'attacco del pezzo di copertina dell'Economist di questa settimana, si discute di una nuova Guerra Fredda per via delle conseguenze sull'America. Qui ci sono Eugenio Buzzetti e Francesco Radicioni che ne parlano a Radio Radicale con Valeria Manieri, e merita un ascolto.

"In questa nuova èra di Xi, il mondo deve imparare a trattare il leader cinese più potente degli ultimi decenni. Contemporaneamente anche la Cina è più forte che mai, pronta a diventarlo ancora di più economicamente, militarmente e culturalmente, sulla strada della Great Rejuvenation", ha scritto su Sinocism Bill Bishop. Per capire il sogno cinese, qualche spunto qui.

La ratifica della modifica della Costituzione sui mandati presidenziali dovrebbe arrivare il 5 di marzo, il giorno dell'apertura della nuova legislatura (sia per la Cina sia per l'Italia, e speriamo che in qualche modo sia di buon auspicio).

Un paio di giorni fa Eugenio Cau ed io abbiamo scritto una lunga pagina prendendo a esempio cinque personaggi che spiegano, in qualche modo, che la trasformazione della Cina sta influenzando anche la sua politica estera. Lo potete leggere online nel weekend sul sito del Foglio.

Improvvisamente, la censura di WeChat e Weibo, due social network popolarissimi in Cina, ha preso di mira la lettera "N", per motivi ancora poco chiari. Resta comunque proibito parlare di Winnie the Pooh e Tigro.

L’ipo dell’anno sarà una doppia quotazione sia a Hong Kong e sia nella Cina continentale di Xiaomi, il superbrand tecnologico cinese (Pira su MilanoFinanza)

Un grande ritratto dello Xinjiang, la regione "più riottosa della Cina", fino a qualche tempo fa a maggioranza musulmana, che da tempo è sotto stretta osservazione del governo. “Nei giorni scorsi Human Right Watch ha denunciato il programma di raccolta dati in atto nella regione cinese: una sorta di Minority Report con tanto di modelli predittivi – e non i precog a bagno del film di Spielberg: dunque qualcosa di reale, di vero”, scrive Simone Pieranni su East.

 

ALTRE STORIE

 

Indonesia. Ascoltare la musica mentre si guida viola la legge, dice il capo della polizia stradale di Giacarta.

Bangladesh. Leonardo entra per la prima volta nel paese a cui ha venduto cinque elicotteri, di cui tre AW109 Trekker e due AW119Kx.

India. Un sacerdote del Kerala, India del Sud, è stato pugnalato a morte mentre si recava al centro di pellegrinaggio Kurisumudi a Malayattoor. L'aggressore è l'ex sagrestano della chiesa.

Myanmar. Un ritratto di quello che viene definito il Bin Laden birmano, il monaco buddista Ashin Wirathu, e della sua capacità di usare i social network proprio come gli estremisti islamici.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.