I giornalisti vestiti di nero in segno di protesta al processo dei reporter Reuters. Foto LaPresse/Xinhua

La Signora arresta i giornalisti

Redazione

Due reporter di Reuters in carcere in Myanmar da dicembre. Non dimentichiamoceli lì

Kyaw Soe Oo, di anni ventisette, e Wa Lone, di anni trentuno, sono due giornalisti dell’agenzia Reuters arrestati il 12 dicembre scorso a Yangon, in Myanmar. Stavano investigando sugli scontri nello stato occidentale del Rakhine, lì dove 650 mila musulmani della minoranza rohingya si scontrano periodicamente con le autorità e gli estremisti buddisti del Myanmar. Kyaw Soe Oo e Wa Lone, la sera del 12 dicembre, sono stati invitati a cena dai vertici della polizia, per un incontro informale. In quella occasione, non è ancora chiaro come, sono stati trovati in possesso “di importanti documenti segreti del governo relativi alle Forze di sicurezza del Myanmar nello stato del Rakhine”, “ottenuti illegalmente”. Per ventiquattro ore i due giornalisti sono spariti nel nulla.

Il Myanmar – una democrazia giovane, immersa in un sistema ancora molto complesso – è un paese tecnicamente guidato da un premio Nobel per la Pace, quella Aung San Suu Kyi che l’occidente, un tempo, santificava. Ieri c’è stata la seconda udienza in tribunale per i giornalisti Reuters, e i due sono stati accompagnati in tribunale con i polsi ammanettati e ben visibili. Rischiano 14 anni di carcere per violazione della legge sugli Atti secretati. I colleghi giornalisti che hanno seguito l’udienza a Yangon, per protesta, erano vestiti di nero – proprio come le partecipanti ai Golden Globe. I governi di America, Inghilterra, Canada, la rappresentanza dell’Unione europea a Yangon e le Nazioni Unite hanno manifestato “preoccupazione” per un arresto in carcere contrario ai princìpi democratici.

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