Nord Corea, il leader Kim Jong Un visita il cimitero dei martiri

Tornare allo spirito del '94 per risolvere il problema nordcoreano?

Giulia Pompili
Bob Gallucci, classe 1946, italo-americano, vola a Kuala Lumpur per parlare con i funzionari di Kim. E’ l’uomo dei Clinton.

Roma. I colloqui che venerdì e sabato scorso si sono svolti a sorpresa a Kuala Lumpur con una delegazione nordcoreana sono stati definiti da Washington e da Seul “informali” e “non ufficiali”. Secondo Stati Uniti e Corea del sud, non c’è alcun passo in avanti ufficiale nelle trattative per far sedere di nuovo Pyongyang al tavolo dei negoziati. I test missilistici nordcoreani, nel 2016, sono aumentati esponenzialmente, e i dati raccolti dagli analisti mostrano un sostanziale miglioramento delle capacità tecnologiche e militari nordcoreane. Il 2016, inoltre, è stato l’anno dei due test nucleari effettuati a distanza di soltanto otto mesi l’uno dall’altro. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite lavora in stretta collaborazione con America, Corea del sud e Giappone per aumentare le sanzioni economiche contro Pyongyang, e insiste sull’effettiva efficacia di un isolamento economico.

 

Eppure, arrivati fin qui, è difficile immaginare come e per quanto altro tempo ancora possa essere sanzionato il paese (piegato, peraltro, da catastrofi naturali e carestie, talvolta strumentalizzate dal regime nella propaganda antioccidentale e per riavviare il sistema di aiuti internazionali). Il vicolo cieco in cui si è ritrovata l’Alleanza atlantica con la Corea del nord è dimostrato dal fatto che ai colloqui informali dello scorso fine settimana il capo della delegazione americana al tavolo era un uomo ben noto nei corridoi della Casa Bianca. Robert Gallucci, classe 1946, originario di New York ma di origini italiane, è l’uomo dei Clinton in Corea del nord. Già docente di diplomazia alla Georgetown ed ex presidente della MacArthur Foundation, tra gli anni Settanta e i Duemila ha lavorato alla Commissione speciale per il disarmo dell’Iraq, e poi a Washington, presso l’ufficio per il disarmo nucleare dell’Unione Sovietica. Nel 1992, quando alla Casa Bianca c’era George H. W. Bush, è stato nominato assistente del segretario di stato per gli Affari politico-militari, dove è rimasto fino all’ottobre del 1994. E’ infatti con Bill Clinton che Robert Gallucci ottiene l’incarico più importante della sua carriera: a quasi cinquant’anni diventa il capo negoziatore per l’America con la Corea del nord durante la crisi del 1994, ancora oggi considerata una delle peggiori tra Washington e Pyongyang.

 

Era il 1993 quando Pyongyang annunciò di non volere più le ispezioni dell’Agenzia atomica internazionale nei suoi siti nucleari, e decise di uscire dal Trattato di non proliferazione. L’America era pronta a un attacco preventivo contro l’allora presidente Kim il-Sung (e dopo la sua morte avvenuta l’8 luglio del 1994, contro il Grande Successore Kim Jong-il) ma la crisi si risolse – per modo di dire – con l’Agreed Framework, che sembrava finalmente risolvere il problema della minaccia atomica nordcoreana. Niente di più sbagliato. Ventidue anni dopo è ancora Robert Gallucci a volare nella capitale malesiana, insieme con Joseph DeTrani, altra vecchia conoscenza dell’intelligence usa per la Corea del nord in quanto ex inviato speciale per i Colloqui a sei. Per Pyongyang, ai colloqui hanno partecipato Han Song-ryol, ex ambasciatore alle Nazioni unite e viceministro degli Esteri, e Jang Il-hun, l’attuale delegato all’Onu.

 

Qualche giorno fa, parlando alla Johns Hopkins University, Gallucci ha sottolineato l’importanza della negoziazione con la Corea del nord, dalla quale si otterrebbero più benefici rispetto all’atteggiamento bellicoso e provocatorio: “La Corea del nord non è come il vino. Non migliora con il tempo. Ogni mese, ogni anno che passa, notiamo che le capacità di produrre ordigni nucleari aumenta quantitativamente e qualitativamente”. Secondo alcuni analisti – compreso Robert G. Cantelmo ieri sul National Interest – il passaggio successivo è offrire qualcosa a Pyongyang, come per l’Agreed Framework del 1994. La famosa “carota” potrebbe essere sospendere le esercitazioni militari congiunte tra America e Corea del sud, o rimandare l’istallazione del sistema antimissilistico Thaad. Tutto questo, senza dimenticare che parte dei negoziati dovrà passare necessariamente per Pechino.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.