Le Olimpiadi invernali del 2018 si terranno a PyeongChang, in Corea del sud, da venerdì 9 a domenica 25 febbraio (foto di Giulia Pompili)

I Giochi spiegati alla Raggi

Giulia Pompili

Le Olimpiadi servono a costruire strade, ferrovie e un’eredità sportiva, perfino in una zona calda come il confine coreano. Viaggio a PyeongChang 2018

Quando si arriva alla stazione degli autobus di Hoenggye, un paesino nel mezzo delle cosiddette Alpi coreane, non si ha l’impressione di essere nel cuore dei Giochi olimpici invernali che si svolgeranno qui tra meno di otto mesi. Anzitutto: fa caldo. Ma siamo a meno di mezz’ora di auto dalla costa est, quella che dà sul Mar del Giappone, e il vento mitiga un po’ la temperatura d’inizio estate. Del resto, per noi, questa non è montagna: la cittadina di Hoenggye è a poco più di novecento metri sul livello del mare. In giro non c’è quasi nessuno, e un tabellone mostra la mappa di PyeongChang, la contea della provincia di Gangwon che sarà al centro del mondo sportivo nel febbraio del 2018. E’ quasi difficile da credere, visto che intorno nulla fa pensare a qualcosa di diverso da una cittadina di provincia della Corea del sud. Un tassista ci saluta con la gentilezza che da queste parti si usa solo con uno straniero occidentale. In pochi minuti attraversiamo almeno quattro cantieri stradali e arriviamo nel quartier generale del Comitato olimpico. Appena lasciata la stazione degli autobus, comincia a essere chiaro un punto: PyeongChang sta cambiando faccia.

 

Per arrivare a Hoenggye si prende un pullman dalla stazione est di Seul, e ci vogliono due ore e mezzo e un biglietto da meno di dieci euro. I pullman sono quelli delle grandi linee coreane, confortevoli, ma intorno alla megalopoli, in entrata e in uscita, c’è sempre molto traffico. “Nessuno prenderà il pullman che hai preso tu. Tra poche settimane sarà pronto il treno ad alta velocità”, dice al Foglio la portavoce del comitato organizzatore delle Olimpiadi di PyeongChang 2018, Nancy Park, “Ci vorranno novantotto minuti per arrivare qui da Incheon”, l’aeroporto internazionale vicino Seul, un percorso che su gomma adesso si fa in più di quattro ore. “E poi entro la fine del 2017 saranno completati i lavori delle nuove autostrade: abbiamo ampliato le corsie di quella già esistente, e ne abbiamo costruite altre due”. Inizialmente era prevista una sola autostrada in vista dei Giochi olimpici, ma poi è stato aumentato il budget per farne un’altra, ovvero una terza via d’accesso a PyeongChang, che così sarà raggiungibile dai tre lati, nord, sud e ovest.

 

Hoenggye è a poco più di 900 metri sul livello del mare. In giro non c'è quasi nessuno, un tabellone mostra la mappa di PyeongChang

La provincia di Gangwon confina con la Corea del nord. E’ un luogo strategico, anche dal punto di vista geopolitico. “Benvenuti a Pyongyang… ehm, no, benvenuti a PyeongChang!”, è una battuta che il governatore di Gangwon, Choi Moon-soon, fa spesso quando inizia i suoi discorsi, giocando sulla pronuncia della capitale nordcoreana e quella della sua regione. Choi è un tipo particolare: eletto per il secondo mandato nel 2014, ex giornalista investigativo, fa parte del Partito Minju, il partito democratico coreano, e ha vinto le prime elezioni locali nel 2011 quando i conservatori in Corea erano ancora una potenza imbattibile. Il suo obiettivo dichiarato, sin dall’inizio, era quello di fare della provincia di Gangwon una provincia “felice”. Ed è difficile dargli torto, con quella sua espressione sempre sorridente. Da quando è stato rieletto, nel 2014, si è dedicato anima e corpo all’organizzazione delle Olimpiadi e alla creazione di quella che ha definito una “Zona economica olimpica”, riducendo le tasse per attrarre il business nell’area e trasformando l’evento del febbraio 2018 in una vera occasione per la comunità.

  

“Il governatore scherza spesso sulla situazione”, dice Park, “la provincia è molto vicina al 38° parallelo, ma qui in Corea del sud siamo abituati a questo genere di tensioni. Ci conviviamo da decenni. In passato abbiamo ospitato grandi eventi sportivi, che hanno funzionato bene, e non sono stati influenzati dai rapporti con il Nord”. Ma non deve essere facile, soprattutto dal punto di vista mediatico, organizzare i Giochi olimpici in una zona che è sul confine di due paesi tecnicamente ancora in guerra – è sempre bene ricordare che nel 1953 tra Corea del nord e Corea del sud fu firmato soltanto un armistizio – e che in linea del tutto teorica potrebbe essere alla portata di un qualunque missile a corto raggio. E non deve essere facile con Donald Trump alla Casa Bianca, che da mesi alza la tensione con il leader Kim Jong-un militarizzando le acque attorno alla penisola, e con Kim Jong-un che non pare disposto al dialogo, e si produce in un test missilistico a settimana. Non è facile combattere contro i pregiudizi e contro i titoli a sei colonne dei giornali che parlano di “guerra imminente”, soprattutto se di mezzo c’è un evento che deve accogliere atleti, appassionati e turisti da ogni angolo del mondo. Da queste parti, però, tutti minimizzano l’impatto che potrà avere la tensione con il Nord sulla riuscita delle Olimpiadi. “L’unica immagine che gli occidentali hanno della Corea del sud è la Corea del nord, e queste Olimpiadi, le prime invernali che ospitiamo, serviranno anche a mostrare che la Corea è altro”, ci dice un volontario in uniforme seduto al tavolo del McDonald’s all’interno della sede del Comitato olimpico. I primi e ultimi Giochi olimpici ospitati in Corea del sud sono stati quelli estivi del 1988 a Seul: l’area olimpica della capitale, con il suo enorme parco, l’Arco della pace, gli stadi e i palazzetti – tutti perfettamente funzionanti e raggiungibili in venti minuti di metropolitana – è ancora lì a testimoniare che un’Olimpiade può essere una grande occasione.

 

Lunedì scorso il neopresidente della Corea del sud, Moon Jae-in, incontrando il presidente della Fifa Gianni Infantino, ha fatto sapere tramite il suo portavoce che sarebbe “uno modo per creare la pace” far ospitare la Coppa del mondo di calcio nel 2030 congiuntamente ad alcuni paesi dell’Asia orientale, compresa la Corea del sud e la Corea del nord. Una frase che ha provocato non pochi mal di pancia, viste le continue provocazioni nordcoreane. Ma Moon, eletto il 10 maggio scorso con un suffragio – dopo il periodo di crisi politica vissuta dalla Corea del sud con l’ex presidente Park Geun-hye messa sotto stato d’accusa insieme a tutto un sistema corruttivo e clientelare – continua a proporre il dialogo piuttosto che la chiusura con Pyongyang. Il presidente Moon, ci spiega Park, è stato spesso a PyeongChang durante la campagna elettorale. Ha supervisionato i cosiddetti “eventi test”, quelli che si fanno come prove generali delle strutture, e subito dopo essere stato eletto ha rinnovato il suo impegno e la sua collaborazione con il governatore Choi, che poi fa parte del suo stesso partito. “Dopo un periodo politicamente turbolento, siamo di nuovo in una fase di stabilità”, spiega Park, “l’ex presidente, soprattutto negli ultimi mesi, aveva ben altro a cui pensare. Le Olimpiadi non erano la sua priorità”. E infatti un contraccolpo dal punto di vista delle sponsorizzazioni c’è stato, ci spiegano, perché le grandi aziende per un momento hanno evitato di mettere le mani laddove c’era l’influenza di Park Geun-hye e della sua consigliera Choi Soon-sil. Ma quella che da queste parti chiamano “la nuvola nera” si è dissolta, e non ha mai colpito, per esempio, i membri del Comitato olimpico coreano. “Moon crede davvero che lo sport possa unire le persone, che sono state così tanto divise dalla politica”, dice Park. Si chiama sport diplomacy, e non è esattamente un’idea nuova, ma è strano pensare che il Comitato olimpico sudcoreano stia lavorando gomito a gomito con quello cinese e quello giapponese – “la Cina prenderà la bandiera da noi, alla fine della cerimonia di chiusura”, dice Park “per Pechino 2022, dove saranno le successive Olimpiadi invernali”. E poi ci sono i volontari: quelli coreani sono già stati selezionati, e hanno iniziato il training, ma quelli stranieri, provenienti da centoquarantacinque paesi, sono soprattutto russi e cinesi. “Per quanto riguarda la vendita di biglietti, attualmente siamo leggermente sopra quelli venduti a Sochi otto mesi prima della cerimonia d’apertura”, dice Park. Le ultime Olimpiadi invernali le ha ospitate la Russia nel 2014, soffiandole proprio a PyeongChang, che ha dovuto aspettare altri quattro anni per averle. Mosca ha lavorato duro per trasformare la sua città di villeggiatura del sud nella capitale degli sport olimpici invernali, e però quella di Sochi è stata pure un’edizione dimenticabile, considerato lo scandalo doping che è venuto dopo.

 

A dieci minuti di auto dal Comitato olimpico, oltrepassando i cantieri stradali, si passa davanti allo stadio della cerimonia d'apertura

Sonjgae è un ragazzo sulla trentina che fa parte del comitato organizzatore. Da quando PyeongChang si è candidata per ospitare i giochi olimpici fa parte di quel gruppo che va a vedere le Olimpiadi degli altri: è stato a Sochi, ma è stato anche in Brasile, a Rio 2016, una delle edizioni più disastrose della storia dei Giochi. Sonjae ci spiega che dagli errori fatti dagli altri si può imparare, e migliorare di volta in volta l’organizzazione. Per esempio, a Rio le lunghissime code per accedere ai controlli di sicurezza erano dovute anche alle divise scelte dall’organizzazione per i volontari: avevano una fibbia sui pantaloni, di quelle che suonano sotto ai metal detector, “e ogni volta per passare i controlli dovevano toglierla”. A PyeongChang ci saranno perfino i robot a fare i controlli di sicurezza – per un paese dedito alla tecnica come la Corea del sud, non c’è palcoscenico più importante. Molti dettagli sono top secret, e saranno svelati soltanto a ridosso della cerimonia d’apertura.

 

A dieci minuti di auto dal Comitato olimpico, oltrepassando gli enormi cantieri “che lavorano giorno e notte”, si passa davanti allo stadio della cerimonia d’apertura, cinquantamila posti costruiti esclusivamente per aprire e chiudere i Giochi olimpici. Poi lo stadio verrà lasciato alla città per i grandi eventi. La cerimonia sarà diretta da Song Seung-whan, regista e produttore famoso per lo spettacolo “Nanta”, uno strano caso di successo internazionale per la Corea del sud e per uno show in cui quattro cuochi suonano, letteralmente, pezzi di cucina come piatti, pentole e paelle. Poco più a ovest si arriva all’Alpensia, che è un po’ il simbolo di questa prossima Olimpiade. Un enorme resort con campi da golf, stazioni sciistiche, un palazzetto per concerti, conosciuto in mezza Asia perché qui hanno girato “Winter Sonata”, la serie tv del 2002 che ha dato il via alla cosiddetta Korean Wave, cioè il soft power culturale sudcoreano che è presente in ogni angolo d’Asia. Al centro dell’area, il trampolino per lo ski jumping, costruito nel 2009 e rinnovato per le Olimpiadi, dove si trova un innovativo e super tecnologico sistema per fermare il vento dai lati e da dietro – il vento è pericolosissimo per gli atleti che si lanciano dall’alto.

 

Da queste parti tutti minimizzano l'impatto che potrà avere la tensione con la Corea del nord sulla riuscita delle Olimpiadi

Lungo la strada che si percorre verso est, cioè verso il mare, c’è l’Olympic village, un complesso residenziale rinnovato e tirato a lucido per accogliere gran parte delle delegazioni. Ci spiegano che tutto è stato progettato affinché gli atleti possano muoversi perfino a piedi e raggiungere i luoghi d’allenamento in massimo dieci minuti. Ma gli appartamenti dell’Olympic village, pur essendo tantissimi, sono stati già tutti venduti: PyeongChang è infatti una meta popolare per i coreani, sia d’estate sia d’inverno, e con l’apertura dell’alta velocità e delle autostrade in molti hanno visto un’occasione per una seconda casa, specialmente chi vive e lavora a Seul. Il governo di Gangwon è stato irremovibile soprattutto su un particolare: “Le uniche infrastrutture in ritardo con i lavori sono le strade domestiche”, ci spiega Sonjgae, perché all’inizio ne erano previste cinque, ma il governatore Choi ne ha volute di più. E c’è una trasformazione che riguarda pure l’accoglienza per gli occidentali: i coreani in vacanza hanno delle abitudini, gli appartamenti tradizionali hanno il letto che in realtà è un futon, e nei ristoranti tradizionali ci si siede per terra. Ma per tutte le strutture ricettive della provincia il governo ha messo in piedi un sistema di incentivi per sostituire i vecchi tavoli coreani con le sedie, e i letti all’occidentale, praticamente a costo zero.

 

La trasformazione di PyeongChang e di tutta la provincia di Gangwon però passa attraverso la creazione di un sistema infrastrutturale che creerà una nuova classe di atleti “entro i prossimi vent’anni”. Come? Su dodici strutture che serviranno per le gare olimpiche, sei sono state costruite da zero e le altre sei sono state ristrutturate, “e i lavori sono completi al 99 per cento”. Ma – cosa ancora più importante – ognuno dei luoghi di gara è stato già assegnato per la concessione post-olimpica. Vuol dire, per esempio, che lo stadio da hockey dopo la cerimonia di chiusura sarà gestito dall’Università locale, e ogni azienda contribuirà all’eredità dell’Olimpiade.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.