Harumafuji, campione di sumo mongolo

L'ultimo scandalo del sumo è una bottigliata in testa

Giulia Pompili

Il lottatore Harumafuji, campione mongolo e settantesimo yokozuna, avrebbe colpito il suo collega Takanoiwa. Tutta colpa di un cellulare

Non siamo ipocriti: quando un cellulare continua a squillare, con una suoneria troppo alta, anche quando non ce ne sarebbe bisogno, l'idea di prendere a bottigliate l'ego smisurato del proprietario è uno di quei desideri inconfessabili che ci passano per la testa. Harumafuji l'avrebbe fatto davvero. I dettagli dell'ultimo grande scandalo che ha colpito il mondo del sumo in Giappone sono ancora poco chiari – come in realtà tutto quel che riguarda il sumo – ma secondo alcuni tabloid nipponici che hanno parlato con i testimoni sarebbe andata così. Harumafuji, campione di sumo mongolo, settantesimo yokozuna nonché vincitore dell'ultimo straordinario Gran Torneo autunnale di Tokyo che si è chiuso a fine settembre, il 26 ottobre scorso si trovava a Tottori con una decina di colleghi per un tour regionale. Come è usanza, i lottatori mongoli erano usciti a bere, e il più alto in grado del gruppo era ovviamente Harumafuji: trentatré anni, yokozuna – cioè il grado più alto che si possa ottenere nel sumo professionistico – sin dal 2012, campione di tecnica nonostante il peso leggerissimo (133 chilogrammi sono quasi un record, nel Tornei di alto livello), secondo i testimoni a un certo punto si è innervosito perché, mentre parlava, il cellulare del suo collega lottatore mongolo Takanoiwa continuava a suonare. Da qui sarebbe nata la reazione spropositata: una bottigliata in testa.

    


Nel 2012 Harumafuji è diventato yokozuna


  

Ma il mondo il mondo del sumo è così, omertoso per natura. Dopo due sconfitte consecutive di Harumafuji, la stampa ha tirato fuori il pettegolezzo. E quindi il certificato medico di Takanoiwa Yoshimori è stato diffuso dall'Associazione giapponese Sumo soltanto tre giorni fa, dopo le scuse ufficiali di Harumafuji. E il certificato medico parla di una frattura cranica. Tutto è successo per via del Fukuoka Sumo Tournament, che si sta svolgendo nella città nel nord del Kyūshū. Il popolarissimo Harumafuji ha annunciato il ritiro momentaneo dalla competizione, l'Associazione giapponese ha aperto un'indagine, nel frattempo è stato preso per le orecchie dal suo maestro, Asahifuji Seiya della scuderia Isegahama, ed è stato costretto non solo a scusarsi pubblicamente (“mi dispiace per quello che ho fatto”) ma anche di persona con Takanoiwa.

    

Del resto, il sumo è uno sport sacro. Tutto quello che si compie durante una competizione è rituale, ma anche nella vita di tutti i giorni ai lottatori – soprattutto ai più alti in grado, gli yokozuna – è richiesto uno stile di vita monastico, integerrimo, esemplare. Durante la competizione, quando il lottatore fa l'ippon, il punto, l'arbitro che è anche cerimoniere e sacerdote scintoista gli porge il denaro che si è guadagnato, e il lottatore si inginocchia e fa il segno del cuore con la mano, come per dire: non è solo per i soldi. Certo, anche per quello, ma non solo per quello. E c'è da scommettere, poi, che in Giappone si parlerà ancora una volta dell'“invasione mongola” nel sumo, una disciplina che è più sacrificio che altro, e che i giapponesi hanno via via smesso di praticare.

   

Ma a ben guardare il problema non sono gli stranieri. Il problema è che da molto, molto tempo ormai, il sumo è diventato umano. E allora succede come nel 2010, quando l'enorme scandalo di scommesse e legami con la yakuza portò alla sospensione di tutti i campionati, e per ridare un volto gentile alla tradizione gli yokozuna lavorarono come volontari nella ricostruzione dopo il terremoto e lo tsunami dell'11 marzo del 2011.

Di più su questi argomenti:
  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.