Dopo tutto almeno la fratellanza ultrà. Il grande abbraccio a Stefano e Cristian

Pierluigi Pardo

La consolazione stavolta arriva dagli spalti, dall’affetto per Stefano e Cristian, padre e figlio, uccisi in un banale incidente stradale.

“La vita non è, e non è mai stata così perfetta come una vittoria in casa per 2-0 contro i primi in classifica, in un pomeriggio di sole, dopo un pranzo di fish e chips, tu e tuo Padre”.
    (Nick Hornby, “Febbre a 90°”).

 

Un weekend di scritte tenere, di striscioni civili, di solidarietà nella cattiva sorte. Il fine settimana del nostro campionato ribadisce la distanza tecnica, in campo, che è purtroppo siderale rispetto al Clásico tra Real e Barça. Lì si gioca un altro sport. Siamo pianeti distanti anni luce, quasi come la Leopolda e Piazza San Giovanni (e potete decidere liberamente dove stia, se c’è, nella politica italiana, un Cristiano Ronaldo).

 

[**Video_box_2**]La consolazione stavolta arriva dagli spalti, dall’affetto per Stefano e Cristian, padre e figlio, uccisi in un banale incidente stradale. Un motorino fragile e un auto in corsa, una strada buia a due metri da casa dopo una serata storta e comunque innamorata. Tifosi, come sempre, all’Olimpico, nella notte sciagurata di Roma-Bayern. Gli striscioni di tutti, particolarmente significativi quelli dei tifosi della Lazio, così come la solidarietà verso Genova offesa dalla pioggia e dall’incuria degli amministratori, danno speranza, fanno pensare a una bella comunità di uomini, responsabili e civili, che sanno stringersi, quando serve, gli uni con gli altri, al di là dei colori e delle rivalità da stadio.

 

Buon segno, soprattutto nella settimana delicatissima di Napoli-Roma, sei mesi dopo Tor di Quinto, dopo un’estate di schermaglie e minacce. Rimane l’amara sensazione che ci sia bisogno delle tragedie per trovare un senso comune in quegli straordinari luoghi di aggregazione pop che rimangono le curve dei nostri stadi. Luoghi in cui, va ricordato, si praticano anche amicizia e solidarietà, non soltanto violenza e malaffare, e che occupano fisicamente tempo, energie e speranze, fragilità e ambizioni di tanti ragazzi che saranno presto uomini.

 

Il piccolo Cristian, certamente, sarebbe rimasto lì, avrebbe macinato migliaia di chilometri, mangiato panini frettolosi all’autogrill, consumato gradoni e suole, in pomeriggi di sole oppure di pioggia, in estate e in  inverno. Tutto in nome di un sentimento irrazionale, forse banale eppure insopprimibile, di un amore puro e illogico, di un gioco destinato a legarci per sempre, padri e figli.

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