Silvio Berlusconi (foto LaPresse)

L'inno alla gioia del Cav.

Claudio Cerasa

Sì a una legislatura costituente e al modello presidenziale. No ai pessimisti e alle derive grilline. Idee sul prossimo ministro dell’Economia e una contro la disoccupazione giovanile (sei anni tax free per le imprese). E poi, viva le donne senza velo di Teheran. “Così governeremo l’Italia”. Parla Berlusconi

Sono venticinque anni di seguito che ogni gennaio Silvio Berlusconi festeggia la sua prima discesa in campo con una nuova discesa in campo ma nel corso della sua vita politica l’ex presidente del Consiglio non si era oggettivamente mai trovato in una condizione simile a quella di oggi. Molti nemici di un tempo non lo considerano più un nemico da distruggere con tutti i mezzi a disposizione (vedi Bill Emmott), molti avversari storici lo considerano un potenziale alleato nella lotta contro i populismi beceri (vedi Eugenio Scalfari), un pezzo maggioritario del partito che per molti anni lo ha considerato il pericolo numero uno del Paese oggi lo considera un argine allo sfascismo (vedi il Pd) e a meno di ottanta giorni dalle elezioni Silvio Berlusconi sa di essere l’unico leader politico italiano ad avere due possibilità concrete per portare il suo partito al governo: o con una

Il grillismo è statalismo, cultura del No, pressione fiscale, diffidenza verso la libertà dei cittadini, giustizialismo. Io dico no

coalizione “naturale” con la Lega o con una coalizione meno naturale con il Pd. Berlusconi ne è consapevole – così come è consapevole di essere in questa splendida posizione nonostante il suo partito, stando ai sondaggi di oggi, valga dieci punti in meno rispetto al Pd e al Movimento 5 stelle – e lo spirito con cui affronta questa lunga ed esaustiva chiacchierata con il Foglio è lo spirito di chi oggi sa di non avere grosse difficoltà a essere osservato con uno sguardo del tutto diverso rispetto a quel famoso 2001, quando l’Economist di Bill Emmott, che d’Italia non ha mai capito molto, diffuse quella famosa copertina: “Why Berlusconi is unfit to lead Italy”. Oggi il quadro è del tutto diverso e il clima attorno a Berlusconi è tale che non ci si potrebbe stupire se l’Economist decidesse di occuparsi dell’ex presidente del Consiglio dedicandogli una copertina di questo tipo: “Why Berlusconi is fit to save Italy”. Già, ma come? E con che idee? E con che progetti? E perché l’ex presidente del Consiglio ha scelto di trasformare il Movimento 5 stelle nel suo grande obiettivo di questa campagna elettorale, considerandolo senza giri di parole il più grande pericolo per la democrazia italiana? Iniziamo la nostra chiacchierata partendo da qui.

  

Presidente, cosa ha pensato quanto ha ascoltato Eugenio Scalfari dire che tra Luigi Di Maio e Silvio Berlusconi voterebbe Silvio Berlusconi?

“Il fondatore di Repubblica, con gli anni, si dev’essere portato avanti con le letture, passando finalmente dalla Repubblica di Platone alla Politica di Aristotele, e quindi avrà meno indulgenze per le ideologie post comuniste”.

 

La Lega ha governato con noi l'Italia per dieci anni Non confondiamo la propaganda elettorale con la realtà dei fatti

Qualche tempo fa Joseph Daul, presidente del Ppe, ha detto, usando parole non troppo diverse a quelle poi riprese la scorsa settimana da Bill Emmott, che Berlusconi e Forza Italia sono i veri argini al populismo. Ci può spiegare oggi chi sono secondo lei i populisti in Italia e ci può spiegare in che senso i populisti per il benessere del nostro Paese sono un pericolo speculare a quello che i comunisti hanno rappresentato per anni?

“Il giudizio del presidente Daul ovviamente mi fa piacere e conferma quello che stiamo dicendo da tempo: la vera sfida è fra la nostra rivoluzione liberale, una rivoluzione possibile, concreta, costruttiva, e il ribellismo – non mi piace chiamarlo populismo – dei Cinque stelle. Sono un pericolo perché della vecchia sinistra hanno ereditato le parti peggiori, lo statalismo, la cultura del No, l’oppressione fiscale, la diffidenza verso la libertà dei cittadini, il giustizialismo feroce, senza neppure avere la tradizione di serietà e la cultura di governo che ai comunisti non mancavano. Per questo sono doppiamente pericolosi. Se vincessero massacrerebbero di tasse il ceto medio – aggredendo la casa, i patrimoni, le successioni, le stesse pensioni – bloccherebbero le infrastrutture fondamentali, porterebbero al governo i settori più politicizzati della magistratura”.

 

Non possiamo non notare però, presidente, che in mezzo a questa euforia esiste un problema. La formula con cui il centrodestra si presenta per provare a governare è una formula che il centrodestra ha sperimentato in altre occasioni di governo ma spesso l’alleanza con la Lega è stata anche un freno per il centrodestra riformista. La Lega dice di essere un partito gemello dell’Afd, della Le Pen, dell’ultradestra austriaca. In che modo il centrodestra di governo che si dice alternativo all’Europa dei populisti può essere pienamente credibile come forza di governo se si presenta con i gemelli dei partiti populisti europei?

“La Lega ha governato con noi l’Italia per dieci anni, governa tuttora con noi importanti regioni italiane e ogni volta che è chiamata a responsabilità di gestione si dimostra una forza politica concreta, affidabile, pragmatica. Non dobbiamo confondere i toni della propaganda elettorale con la realtà dei fatti concreti. Certo, il ruolo trainante nel centro-destra di un soggetto come Forza Italia, saldamente radicato nei valori del Ppe, che sarà di gran lunga la maggior forza politica della coalizione, garantirà che non ci potrebbe essere spazio per tentazioni demagogiche, se mai si dovessero manifestare. Ma le ripeto, non ho questo timore, la Lega è profondamente diversa, per storia e cultura di governo, dalle forze politiche che lei ha ricordato”.

 

Se dovesse scegliere una proposta del centrodestra sulla quale scommettere in campagna elettorale, una e soltanto una, qual è secondo lei il vero punto di forza, in economia?

“Quella che si riassume in tre punti: meno tasse, meno tasse, meno tasse. Meno tasse sulla famiglia, meno tasse sulle imprese, meno tasse sulla casa”.

 

Forza Italia sarà definitivamente il simbolo con cui il centrodestra si presenterà alle prossime elezioni?

“Non esiste un simbolo del centro-destra, esistono i simboli dei singoli movimenti politici, e il nostro sarà ovviamente la bandiera di Forza Italia. Alla quale – contro la mia volontà – i nostri dirigenti hanno voluto aggiungere il mio nome (foto sotto)”.

 

  

Se Forza Italia avrà un peso importante nel prossimo governo, crede sia un sogno realizzabile quello di immaginare la prossima legislatura come una legislatura costituente, per regalare al nostro Paese, finalmente, un sistema presidenziale sul modello francese?

“Ci siamo battuti con forza, e con successo, contro una riforma costituzionale sbagliata, ma non lo abbiamo fatto, a differenza di certa sinistra o dei grillini, per tenerci la Costituzione che abbiamo. Il processo riformatore deve ripartire e io ho espresso tante volte la mia preferenza per un modello presidenzialista”.

 

A proposito di Europa. Qualche settimana fa, il Foglio ha proposto alle più grandi forze politiche italiane di sfidare i partiti anti sistema e le forze anti europeiste con una mossa simbolica: inserendo la bandiera europea nella bandiera del proprio partito. Le piacerebbe che la bandiera di Forza Italia avesse anche le 12 stelle della bandiera europea?

“Mi piacerebbe farlo, se l’Europa fosse quella del grande sogno di De Gasperi, di Adenauer, di Schuman. Questa Europa, invece, quella dei burocrati e delle regole stupide, va prima di tutto cambiata profondamente, se vogliamo salvarla. Vede, essere europeisti oggi non significa fare retorica sull’Europa o fingere che tutto vada bene, significa lavorare concretamente per trasformare l’Europa in un grande spazio di libertà: un’Europa dei popoli e non contro i popoli, basata sui comuni valori cristiani e liberali, capace in nome di questi valori di una politica estera e di difesa davvero comune. Il nostro governo lavorerà per costruirla: sarà un vero cambio di passo rispetto all’inerzia e alla passività dei governi di centro-sinistra. Poi – quando ci saremo riusciti – metteremo volentieri le stelle nella bandiera”.

 

All’inizio del 2017 uno dei grandi temi del nostro Paese sembrava essere l’emergenza immigrazione. Oggi, dodici mesi dopo, possiamo dire che nel 2017 il governo è riuscito a governare il fenomeno dell’immigrazione, facendo calare gli sbarchi rispetto allo scorso anno. Eppure, la paura dell’immigrazione in Italia è ancora forte. Come si fa a governare questa paura? E quanto c’è di razionale e di non razionale in questa paura?

In cosa è un modello Merkel? Per
la coerenza con le proprie posizioni, anche quando non sembrano paganti nell’immediato, l’orgoglio
di rappresentare una grande nazione e di tutelarne gli interessi, l’autorevolezza internazionale
che nasce dalla credibilità personale

“In Italia ci sono, secondo le stime più prudenti, 500.000 irregolari, arrivati in questi ultimi anni e tollerati dai governi della sinistra. Queste persone non hanno alcuna possibilità di svolgere un lavoro regolare, quindi per sopravvivere sono costretti a violare la legge. Ciò significa lavoro nero, prostituzione, scippi, spaccio, furti ecc. Come si può non avere paura? La paura si governa bloccando il flusso dei nuovi arrivi, come avevamo fatto noi, e non semplicemente riducendolo, e poi avviando un serio piano di rimpatri per chi non ha diritto allo status di rifugiato e non può rimanere in Italia. Naturalmente oltre a questo occorre andare alle radici del problema, ed è per questo che chiedo da tempo ai maggiori paesi del mondo un piano Marshall per l’Africa, che dia ai popoli dell’area sub-sahariana la speranza di un futuro nella loro patria”.

 

Osservando la nostra economia, oggi, su cosa si può essere ottimisti e su cosa invece pessimisti?

“La principale ragione di ottimismo è la straordinaria operosità, unita all’ingegno, degli italiani: penso agli imprenditori, ai lavoratori, ai professionisti, ai commercianti e agli artigiani, che sono i veri eroi del nostro Paese. Invece rifiuto il pessimismo, anche se le difficoltà sono evidenti. Con il pessimismo non si è mai costruito nulla di buono. Se si crede davvero in sé stessi e nelle proprie idee, invece, si possono ottenere risultati straordinari, per sé e per la collettività. Nella mia vita, ho sempre puntato a ottenere dei traguardi che gli scettici, i critici, i rinunciatari consideravano impossibili, e li ho sempre realizzati: costruire città-modello, piene di verde e di percorsi protetti, a misura di anziani e di bambini; battere il monopolio Rai per realizzare la televisione libera in Italia e poi esportarla in tanti paesi europei; prendere il Milan, un’antica e gloriosa squadra di calcio sull’orlo del fallimento e trasformarla nel club più titolato al mondo; fondare un movimento politico e vincere le elezioni in soli due mesi; indurre Russia e Nato a firmare l’accordo di Pratica di Mare, che poneva fine a mezzo secolo di guerra fredda. Con il pessimismo non avrei fatto nulla di tutto questo. Ora chiedo agli italiani, anche ai tanti scettici e delusi, di ricominciare a crederci: insieme possiamo salvare il Paese dalla deriva grillina e far ripartire l’Italia riorganizzando alla radice lo Stato, la macchina pubblica, il sistema economico e produttivo”.

 

Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan sostiene di aver aiutato l’Italia a uscire dalla crisi, ed effettivamente prima del suo arrivo, che ha coinciso con l’arrivo a Palazzo Chigi prima di Renzi e poi di Gentiloni, l’Italia aveva un segno meno e oggi ha un segno più. Ci può dire che voto dà alla linea economica di questo governo e quali dovrebbero essere le tre caratteristiche che dovrebbe avere la persona che Berlusconi sogna di avere alla guida del dicastero dell’economia nel caso in cui il centrodestra dovesse vincere le elezioni?

“L’Italia non vive isolata dal mondo, i risultati economici di un governo vanno giudicati in base allo scenario internazionale in cui si collocano. Noi abbiamo governato nel bel mezzo della peggiore crisi economica mondiale del dopoguerra, ora siamo nel pieno di una fase di crescita molto sostenuta in alcune regioni del pianeta, e rilevante anche in Europa. L’Italia oggi cresce, certo, come tutto il mondo, ma cresce la metà del resto dell’Unione Europea. E’ un risultato del quale andare fieri? Il nostro ministro dell’Economia dovrà essere ovviamente un tecnico autorevole, ma anche una persona che conosca l’economia reale, abbia ben chiaro che esiste una sofferenza diffusa nel sistema economico, e che tenere i conti in ordine è un obbiettivo che si realizza meglio se il Paese ricomincia a crescere davvero”.

 

Si è molto parlato nelle ultime settimane del sistema bancario italiano e la commissione sulle banche che anche Forza Italia ha voluto alla fine ha portato più elementi di confusione che di chiarezza. Come stanno a suo avviso le nostre banche? E quanto crede sia grave il caso di Maria Elena Boschi e il suo interessamento per la banca di cui il padre era vicepresidente, la famosa banca Etruria?

“Vi sono migliaia di italiani, di piccoli risparmiatori, che hanno investito i loro risparmi nelle banche credendo di fare un investimento sicuro. Alcune gestioni disinvolte hanno distrutto il loro risparmio. E’ di questo che dovremmo occuparci, di trovare i colpevoli, e se possibile aiutare chi ha subito perdite. Soprattutto, di ristabilire la fiducia nel sistema bancario, che nel suo complesso lo merita, e che è indispensabile per il futuro dell’Italia. Al contrario, da tutte le parti si è voluto usare questa materia per regolare conti politici. E’ un metodo che i miei avversari hanno usato troppe volte contro di me, ma che non appartiene al mio stile né alla mia cultura. Non per questo, naturalmente, il mio giudizio politico sul governo del Pd e sui suoi protagonisti è meno severamente critico”.

 

Qualche settimana fa lei ha detto che non sarebbe un dramma per l’Italia una prorogatio di Gentiloni in caso di stallo alle prossime elezioni. Che aggettivi utilizzerebbe lei per spiegare chi è Paolo Gentiloni?

“Non ho dato giudizi, ho solo detto che la Costituzione prevede questo: finché non si crea un nuovo governo rimane quello precedente. E’ una constatazione addirittura banale, come si può trasformarla in un giudizio politico? Ho anche aggiunto che questo non avverrà, perché vinceremo noi e avremo la maggioranza per formare un governo. Gentiloni sarà giudicato dall’elettorato e non sarò certo io a conferirgli aggettivi”.

 

All’interno del prossimo governo, nel caso in cui fosse il centrodestra a vincere le elezioni e nel caso in cui dovesse arrivare una sentenza positiva da Strasburgo, Berlusconi sarebbe pronto a dare la sua disponibilità anche per un ruolo diverso da quello di presidente del Consiglio?

“Io non ho ambizioni personali: dopo aver fatto tre volte il presidente del Consiglio e aver avuto il privilegio di rappresentare per molti anni il mio Paese fra i grandi della terra non ho davvero null’altro da chiedere alla vita politica. So però che l’indicazione del premier toccherà al maggior partito della coalizione, e che quel partito sarà Forza Italia”.

 

Lei ripete da settimane che il centrodestra sarà il luogo in cui verranno valorizzate anche delle forze fresche della società civile. Ci può fare qualche nome sulle persone su cui ha scelto di scommettere?

“Potrei farne tanti, ma preferisco sottrarli alla curiosità mediatica in una fase nella quale stiamo ancora mettendo a punto le ultime scelte. A fine gennaio, con il deposito delle candidature, tutti potranno vedere come saranno composte le nostre liste: avranno un grandissimo ruolo, come mai prima d’ora, donne e uomini che vengono dall’impresa, dal lavoro, dalle professioni, dalla cultura, dal volontariato, e che hanno dimostrato nei fatti, fuori dalla politica, la loro capacità di realizzare dei risultati concreti”.

 

Negli ultimi anni lei ha osservato il percorso di crescita dei due Matteo della politica italiana, Renzi e Salvini. Ci può dire quali sono a suo avviso i punti di forza e di debolezza dei due Matteo?

“Matteo Salvini è un grande centravanti di sfondamento, prezioso per fare goal. Su Renzi è più difficile dare un giudizio: ha avuto l’indubbio merito di rompere davvero con la storia post-comunista che legava il Pd al vecchio Pci, dal quale provenivano i D’Alema e i Bersani. Però non ha saputo sostituire quest’identità con un’altra, e ha ridotto il Pd a un agglomerato di potere senza idee e senza una cultura di riferimento. Non è del tutto colpa sua: la sinistra in tutta Europa è in crisi, consapevole del fallimento delle sue vecchie ricette del ’900, e incapace di elaborarne di nuove. Non a caso in tutti i maggiori paesi europei, come in Italia, la sfida è fra i moderati legati al Ppe e i ribellisti. Fa eccezione la Francia, ma solo in parte: Macron è un tecnocrate di sinistra, ma governa perché ha distrutto la sinistra tradizionale”.

 

Nell’indifferenza generale, presidente, il candidato premier del Movimento 5 stelle, Luigi Di Maio, qualche settimana fa ha detto di voler abolire la prescrizione e di non essere interessato al tema della giusta durata dei processi. Su cosa gli italiani dovrebbero aprire gli occhi secondo lei quando parlano del Movimento 5 stelle?

“L’Italia già oggi vive una triplice oppressione, quella fiscale, quella burocratica e quella giudiziaria. I Cinque stelle vorrebbero aggravarla ancora. D’altronde il loro linguaggio è dal principio quello dell’invidia, quello dell’odio, della giustizia sommaria, dell’utilizzo dell’arma giudiziaria contro gli avversari politici. I nomi dei magistrati con i quali hanno rapporti più stretti, e che vorrebbero nel loro futuro governo, sono eloquenti e fanno venire i brividi”.

 

Ci spiega esattamente cosa pensa di un movimento politico, come il Cinque stelle, che sogna di abolire la democrazia rappresentativa sostituendola con una forma forse persino incostituzionale di democrazia diretta? Non le sembra che ci siano delle classi dirigenti troppo complici nei confronti del grillismo?

Si calcola che siano 3 milioni
i giovani che non studiano
e non hanno un lavoro.
Uno dei nostri primi provvedimenti sarà quello di sgravare di ogni tassa sul lavoro e di ogni contributo
per i primi sei anni le imprese
che assumeranno a tempo indeterminato giovani disoccupati.
Si può fare

“Penso che siano il più grave pericolo per il futuro dell’Italia dal dopoguerra. La loro finta democrazia diretta maschera, come tutti sanno, il potere effettivo di pochissime persone. E’ lo stesso ‘centralismo democratico’ dei vecchi partiti comunisti, governato in questo caso da un politburo molto ristretto, costituito da un vecchio comico, un oscuro professionista della comunicazione, e forse la figurina Di Maio. Ai loro ordini una serie di professionisti della politica, cioè di persone che dipendono dalla politica per vivere, e quindi dalla benevolenza dei loro capi, che ne decidono destini e carriere. A differenza dei vecchi professionisti della politica, però, quelli della Prima Repubblica, qui manca anche l’esperienza, la conoscenza dei meccanismi di governo: la gran parte di loro non ha mai lavorato, non ha mai amministrato neppure un condominio. I risultati, dove sono chiamati a governare le città, si vedono. L’idea che l’Italia possa cadere nelle loro mani è assolutamente pericolosa, ed è un pericolo reale, immediato. Se davvero alcune figure della cultura, dell’economia, dell’impresa non se ne rendessero conto, e pensassero di usare i grillini per trarne qualche vantaggio, rischierebbero di fare la parte di quelli che Lenin chiamava ‘utili idioti’, da usare e poi da eliminare”.

 

Al centro di questa campagna elettorale, con ogni probabilità ci sarà il tema della disoccupazione giovanile. Esiste una proposta choc che il centrodestra è pronto a mettere in campo per affrontare alla radice il problema della disoccupazione?

“Sarà una delle nostre priorità assolute. Non possiamo permettere che un’intera generazione venga sacrificata alle politiche sbagliate dei governi che l’hanno preceduta. Si calcola che siano 3 milioni i giovani che non studiano e non hanno un lavoro. Una cifra intollerabile, alla quale si aggiunge il grave danno di chi deve lasciare l’Italia – spesso sono i giovani più brillanti – per trovare un lavoro adeguato. Uno dei nostri primi provvedimenti sarà quello di sgravare di ogni tassa sul lavoro e di ogni contributo per i primi sei anni le imprese che assumeranno a tempo indeterminato giovani disoccupati”.

 

Uno dei temi di cui purtroppo non si parlerà in campagna elettorale è il tema della demografia. L’Italia, come molti paesi d’Europa, si trova in una crisi demografica importante ma non si trovano soluzioni culturali forti per affrontare il problema. Lei non pensa che un politico con senso di responsabilità dovrebbe avere il coraggio di dire alle famiglie italiane: fate presto, fate figli?

“Il problema è reale, e drammatico. D’altronde però non basta dire ‘fate figli’. Come possiamo chiedere di diventare genitori per esempio a giovani che non hanno un lavoro, e che non possono quindi permettersi una casa propria? La prima risposta è certamente quella di tutelare e valorizzare la famiglia dal punto di vista economico e dei diritti. Tutta la nostra politica fiscale, per esempio, sarà strutturata in modo da favorire il nucleo familiare. Ma certo fare dei figli è anche un atto di fiducia verso il futuro, significa credere nell’avvenire del nostro Paese, della nostra cultura, della nostra civiltà. Una società pessimista e ripiegata su sé stessa, una società che non crede nei suoi valori e non è disposta a lottare per essi, è una società che non guarda al futuro e quindi non genera figli. Essere genitori, lo dice un padre di cinque figli, e nonno di undici meravigliosi nipoti, è l’esperienza più bella della vita. Bisogna riscoprire il valore del ruolo di genitore, che i modelli culturali dominanti hanno messo in crisi: crescere dei figli, educarli, indirizzarli valorizzandone la personalità e la capacità di scelta è al tempo stesso un atto di amore e di responsabilità sociale, ma è anche straordinariamente gratificante”.

 

Di fronte alle spinte autonomiste come quelle che si sono manifestate prima in Gran Bretagna e poi in Catalogna, non ci si può non porre una domanda: cosa può fare una politica matura per arginare gli istinti separatisti in un’epoca in cui è sempre più chiaro che è l’unione che fa la forza di un Paese?

“Nel mondo globalizzato, i separatismi in generale sono scelte sbagliate e perdenti. Scelte comunque inaccettabili se si pongono al di fuori del quadro della legalità costituzionale di paesi democratici. Però ogni caso è diverso dagli altri, naturalmente, e queste spinte nascono anche da ragioni che sarebbe sbagliato ignorare: spesso sono la risposta – forse ingenua – allo statalismo, all’oppressione fiscale, alla burocrazia nazionale ed europea. Sono convinto che il modello liberale dello stato leggero, che valorizzi al massimo le autonomie secondo il principio di sussidiarietà, sia la migliore risposta a ipotesi di secessione che sarebbero dannose per tutti, anche per chi la richiede”.

 

In Europa, intanto, Angela Merkel con ogni probabilità guiderà la Germania anche in questa legislatura. Quali sono secondo lei tre grandi lezioni che ci derivano dalla storia della cancelliera tedesca di cui anche un centrodestra moderno dovrebbe far tesoro?

“La coerenza con le proprie posizioni, anche quando non sembrano elettoralmente paganti nell’immediato, l’orgoglio di rappresentare una grande nazione e di tutelarne gli interessi, l’autorevolezza internazionale che nasce dalla credibilità personale”.

 

Se dovesse scegliere il suo uomo o la sua donna dell’anno nel 2017, in Italia o fuori dall’Italia, a quale nome penserebbe, ovviamente al di fuori dal perimetro della sua famiglia?

“Difficile rispondere. Ma forse la ragazza che negli ultimi giorni di dicembre a Teheran si è tolta il velo durante la manifestazione di piazza, sfidando la polizia del regime, potrebbe essere un bel simbolo di libertà, di dignità della donna e di resistenza all’interpretazione fanatica e oltranzista dell’Islam, che è uno dei grandi problemi del nostro tempo. Chissà che quella foto non sia il punto di partenza di una svolta in un grande paese di antiche tradizioni come l’Iran, e con esso di tutto il Medio Oriente”.

 

Se lei fosse stato alla guida del governo italiano, avrebbe dato mandato al nostro ambasciatore all’Onu di votare contro la decisione delle Nazioni Unite di condannare la scelta di Trump di fare di riconoscere Gerusalemme come capitale d’Israele?

Il personaggio dell’anno? La ragazza che a dicembre a Teheran si è tolta
il velo durante la manifestazione
di piazza, sfidando la polizia
del regime, potrebbe essere
un bel simbolo di libertà, di dignità della donna e di resistenza all’interpretazione fanatica
e oltranzista dell’Islam

“Capisco che la scelta di Trump abbia suscitato delle tensioni e delle preoccupazioni, ma non si può negare che Gerusalemme sia storicamente la capitale di Israele, né si può sottostare al ricatto delle fazioni più oltranziste del mondo palestinese, come in questo caso hanno fatto l’Europa e anche l’Italia. Considero Israele una parte della nostra cultura e della nostra civiltà, un faro di libertà e democrazia nel Medio Oriente. Aggiungo però che naturalmente anche i palestinesi hanno assolutamente diritto ad avere uno stato pienamente sovrano, a vivere in pace, nel benessere e nella sicurezza, ma che a questo si potrà arrivare solo attraverso un processo di pace che garantisca pienamente i diritti e la sicurezza di tutti. Quella votazione quindi è stata un errore”.

 

Presidente, ultima domanda. A dicembre, il Financial Times ha scritto che il Milan avrebbe solo il 50 per cento di possibilità di rifinanziare il proprio debito nei confronti del fondo Elliott. La scadenza per concludere l’operazione, che ammonta a 303 milioni, è fissata a ottobre 2018, e ogni tifoso del Milan si fa una domanda semplice: nel caso in cui ci dovessero essere problemi finanziari con il Milan, Berlusconi sarebbe disposto a ridare una mano o il suo passo indietro dal Milan è un passo indietro definitivo?

“Non voglio illudere nessuno. E’ stata una scelta dolorosa ma necessaria e definitiva, anche se il Milan continuerà a occupare nel mio cuore il posto che ha sempre avuto”.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.