Così il procuratore di Taranto difende ArcelorMittal senza scudo

    Taranto. A volte viene da chiedersi per chi lavorino le procure. E il dubbio aumenta quando si ha a che fare con quella di Taranto. Durante la visita del presidente del Consiglio Conte in Ilva non è mancato un incontro, segreto, con il procuratore capo Capristo, l'unico di cui non si hanno resoconti fotografici. Né dichiarazioni ufficiali. Ma dopo il colloquio il procuratore Capristo ha rilasciato due interviste, un giorno dopo l'altro, martedì a Vittoria Piccolillo sul Corriere della Sera e mercoledì a Francesco Grignetti sulla Stampa. Alla cronista del Corriere che gli domanda se sono state fatte le bonifiche il procuratore parla della copertura delle collinette in seno a Ilva in Amministrazione straordinaria, che però non è una bonifica, ma solo una messa in sicurezza. E più volte dirigenti di Arpa e Asl hanno ammesso che mai potranno essere bonificate, cosa che vale per tutta l'area Ilva. Come mai sono stati bonificati i cimiteri industriali già dismessi a Taranto tipo lo yard Belleli, costruito, come tutto il porto, esattamente sulla stessa loppa delle collinette.

    Nell'intervista alla Stampa invece, secondo la ricostruzione di Francesco Grignetti, dall'incontro fra i procuratori di Taranto e il presidente Conte (citiamo testuale) “è emerso subito che la questione dello scudo penale è molto diversa da come viene raccontata. Intanto perché esiste già. Non solo per via dell'articolo 51 del codice penale, ma perché ne funziona uno apposito per Taranto, previsto dal decreto Salva-Ilva del 2015”. Così conclude l'articolo: “ll vecchio scudo penale previsto dal Salva-Ilva per i commissari straordinari continuerà a funzionare”.

    Davvero ci auguriamo che questa sia solo una ricostruzione del cronista e non le parole di Capristo. Perchè altrimenti non si capisce come la procura possa dire che lo scudo esiste ancora nella formulazione del 2015, se ella stessa è stata destinataria della decisione della Consulta di restituire al gip di Taranto gli atti sulla questione di incostituzionalità sollevata proprio sul quel decreto. Con la motivazione che nel frattempo era cambiata la legge con la modifica della 34 del 2019 che poneva il termine dello scudo al 6 settembre 2019. Modifica fatta proprio per evitare che la Corte entrasse nel merito della norma. E con la promessa, dei 5stelle alla Lega, che sarebbe stata reintrodotta una norma migliorativa nel successivo decreto imprese. Cosa fatta dal precedente governo, e poi come sappiamo annullata dalla nuova maggioranza.

    Rispetto poi alle prescrizioni dell'altoforno 2 (altro motivo di citazione di ArcelorMittal), riferisce il procuratore alla Stampa: “Tra l'altro, siccome i lavori sono onere e responsabilità dei tre commissari straordinari e non di ArcelorMittal, il problema ai privati dovrebbe interessare ben poco”. Con queste parole Capriso dà esattamente ragione a Mittal: il procuratore ammette che quei lavori spettavano a Ilva in As, che non li ha mai fatti (diversamente da quanto presentato in alcune slide al Senato) ma a non poter utilizzare l'Afo2 – e quindi a perderci economicamente e a rischiare penalmente – era Mittal.

    Tra l'altro sono gli stessi commissari Ilva in As a riferire in un colloquio con i parlamentari 5 stelle tarantini che anche per loro lo scudo è necessario. E che hanno sbagliato i parlamentari a offrire quest'alibi all'azienda. Insomma, Mittal cita in giudizio i commissari perchè gli è stato tolto lo scudo e i commissari citati dicono che Mittal ha ragione, perché il governo ha sbagliato a toglierglielo. Ma nel frattempo preparano, loro, o il governo per loro, il controricorso. Del resto quando arriverà la mazzata del risarcimento a Mittal il conto lo pagheremo noi, insieme a quello per il siderurgico. In un paese normale non ci sarebbe bisogno di uno scudo del genere. Ma con le procure italiane oltre allo scudo servirebbe pure tutto il resto dell'armatura.

    Annarita Digiorgio