La scuola di Fioramonti, test per una teoria economica da Nobel

Sandro Brusco

    I vincitori del premio Nobel per l'Economia hanno ricevuto l'onorificenza per il loro lavoro empirico mirato specialmente alle politiche in grado di alleviare la povertà. Più che per gli specifici risultati ottenuti (che pure sono di una certa rilevanza), il contributo di Abhijit Banerjee, Esther Duflo e Michael Kremer è principalmente metodologico. In un certo senso il loro lavoro ha cercato di avvicinare la metodologia usata nel lavoro empirico in economia a quella usata nelle scienze naturali. Dovendo forzatamente riassumere in modo molto breve, i tre vincitori hanno dato un contributo importante all'introduzione degli “esperimenti controllati” in economia. Per capire meglio, si pensi a come viene normalmente controllata l'efficacia di un nuovo farmaco. Si prendono due gruppi di persone, simili per caratteristiche (in particolare condizioni di salute, tipicamente pazienti con la stessa malattia). Si somministra a un primo gruppo il nuovo farmaco mentre al secondo gruppo si somministra un placebo. Successivamente si verifica se i due gruppi mostrano differenze statisticamente rilevanti nel loro stato di salute. In caso affermativo, per esempio se il nuovo farmaco riduce in modo significativo la presenza della malattia, allora il farmaco viene dichiarato efficace e si procede alla sua commercializzazione.

    L'idea principale che sta dietro a questo Nobel è che la metodologia dell'esperimento controllato può essere applicata anche per verificare l'efficacia delle politiche economiche, o almeno alcune di esse. La natura dei problemi affrontati in economia ha teso per lungo tempo a ignorare questa metodologia. Si pensi per esempio a come rispondere alla domanda “è peggio per l'economia italiana aumentare l'Iva nel 2020 per 7 miliardi o far aumentare il debito pubblico per lo stesso ammontare?”. In principio, per rispondere a questa domanda, la metodologia dell'esperimento controllato richiede di trovare due gruppi di paesi simili all'Italia, in particolare con un simile livello di sviluppo economico e un simile stato delle finanze pubbliche. A un paese dovrebbe essere applicato l'aumento dell'Iva e a un altro l'aumento del debito. Dopo un congruo ammontare di tempo, dato che gli effetti dell'aumento del debito possono richiedere vari anni per manifestarsi, si potrebbe comparare il tasso di crescita medio nei due gruppi di paesi e decidere quale delle due politiche è meno dannosa. E' ovvio che un simile approccio non può essere applicato e quindi la metodologia degli esperimenti controllati non è particolarmente utile in questo caso. Ma in altre situazioni, in particolare riguardo alle politiche di livello microeconomico, la metodologia può invece essere applicata con successo.

    Un esempio che ha qualche implicazione per una recente polemica italiana può aiutare a capire meglio. In un lavoro pubblicato sulla American Economic Review nel 2012, dal titolo “Incentives Work: Getting Teachers to Come to School”, (Gli incentivi funzionano: come ridurre l'assenteismo degli insegnanti) Esther Duflo e due suoi coautori hanno cercato di valutare quanto fossero efficaci gli incentivi monetari per convincere gli insegnanti nei villaggi indiani a fare meglio il proprio lavoro. In questo caso “fare meglio il proprio lavoro” ha un significato abbastanza semplice: essere presenti sul posto di lavoro e ridurre l'assenteismo, un grave problema nelle zone rurali dell'India. Si identificarono due gruppi di scuole. Nel primo gruppo (il “gruppo sottoposto al trattamento”) venne usata una combinazione di “bastone e carota”. Vennero installate telecamere per verificare la presenza dell'insegnante in classe e vennero dati incentivi monetari basati sul numero di presenze. Nel secondo gruppo invece le cose continuarono come sempre. Il risultato, come riportato dagli autori, fu che nel gruppo sottoposto a trattamento l'assenteismo calò del 21 per cento e i risultati degli alunni migliorarono in maniera statisticamente significativa. Come conseguenza della loro analisi empirica, gli autori hanno concluso che “gli insegnanti rispondono in modo forte agli incentivi monetari”. I lettori più attenti ricorderanno un recente intervento del ministro Fioramonti che proponeva un aumento di 100 euro per gli stipendi degli insegnanti. Come ha segnalato Luciano Capone su questo quotidiano, il messaggio del ministro era decisamente contraddittorio. Egli infatti affermava, senza offrire evidenza, che un aumento differenziato e basato sui risultati non avrebbe sortito effetti mentre un aumento a pioggia avrebbe condotto a un miglioramento della qualità docente. Un approccio più basato sull'evidenza cercherebbe invece di introdurre diverse forme di compensazione in differenti distretti scolastici per poi verificarne l'efficacia sui risultati degli studenti. Questo ovviamente è più o meno un sogno in un paese in cui perfino la misurazione dei risultati in modo standardizzato (si vedano le infinite polemiche sui test Invalsi) appare controverso.

    Sandro Brusco