Aiuto, il referendum

    La democrazia diretta è croce e delizia, e ha i suoi costi, soprattutto. Quanto costerebbe a Milan e Inter, in termini di annullamento o almeno di necessaria revisione dei progetti, e quanto a Milano, in termini generali di sviluppo, se un referendum civico bocciasse l'idea di abbattere lo stadio di San Siro (contestuale e necessario per costruire un impianto nuovo)? I milanesi, si sa, sono favorevoli a ogni modernità, ma quando gli toccano i monumenti e i sentimenti, gli viene il groppo in gola, il magùn. Infatti la petizione popolare #SaveSanSiro era partita subito, trasversale a tutti i settori della città. Infatti Massimo Moratti, ex patron con il cuore in mano dei Bauscia, aveva detto subito no: “Non è solo una struttura sportiva, San Siro fa parte della storia della città e dei milanesi”, trovandosi in perfetta sintonia, per una volta, con l'ex rivalissimo Silvio Berlusconi, che aveva dichiarato: “Abbatterlo? Sono assolutamente contrario, non ha senso, è nel cuore di tutti i milanesi. Ne costruiscano un altro, ma lascino San Siro e lo tengano per altre funzioni” (anche se poi Paolo Scaroni, che il nuovo Milan ora comanda, dice di avergli spiegato: “Ho sentito personalmente Berlusconi, mi ha confermato che ha parlato il Berlusconi romantico, che non può scordare i tanti successi che il suo Milan ha conquistato dentro San Siro”).

    Il referendum potrebbe davvero arrivare, e all'idea di farlo – ma rigorosamente consultivo, ça va sans dire – ha aperto anche il sindaco Beppe Sala. E soprattutto ci si è messa d'impegno Forza Italia, nella persona di Marco Bestetti, dinamico presidente del Municipio 7, che comprende anche l'area di San Siro e che contro la demolizione e contro il progetto delle due squadre – colpevole di stravolgere l'identità del quartiere, anziché farla evolvere – s'era già espresso. Quanto alla Lega, Matteo Salvini, cuore casciavitt, alle ruspe a San Siro non ci riesce “nemmeno a pensare”, aveva detto. Ma lì oltre al cuore giocava anche la politica: la possibilità andare a gamba tesa contro ogni possibile iniziativa della giunta di sinistra, e possibilmente fargli scoppiare una grana con la sua stessa opinione pubblica (leggi: sinistra operaista nostalgica del vecchio stadio). E questo è un aspetto, tanto per chiudere il giro di consultazioni politiche, che Beppe Sala conosce, e deve tener presente. Chiudere il proprio mandato con uno stigma così divisivo del sindaco che ha demolito il Meazza è rischioso. In più, parte della sinistra, e non solo quella arancione, non ama lo strapotere economico delle società rispetto a un fenomeno eminentemente “civico” e “pubblico” come lo sport.

    Il metodo per arrivare alla consultazione sarebbe quello dei cinque referendum consultivi ambientali che furono celebrati (con molta affluenza) nel 2011: Ecopass, verde, parco Expo, risparmio energetico e riapertura dei Navigli. Per indirli basta l'approvazione di almeno sei consigli di Municipio, e Forza Italia ne controlla cinque. Altrimenti servono 15 mila firma dei cittadini. Impresa non impossibile: il sentiment meneghino per la vecchia adorata Scala del calcio è, se non univoco, senza dubbio fortemente nostalgico. Ed è politicamente trasversale a classi sociali e schieramenti politici. Va anche detto, poi, che i referendum civici si fanno, e poi è la realtà dei fatti a decidere. Quelli del 2011 servirono a confermare decisioni già prese, blindarono i futuri piani dell'Area Expo, ma quanto alla riapertura dei Navigli, si risolse tutto in una grande bolla. Fu un elemento di disturbo nella campagna elettorale tra Sala e Stefano Parisi; poi Sala annunciò che avrebbe di nuovo ascoltato i cittadini e verificato i progetti (il che è stato fatto). Poi, qualche mese fa, ha spiegato che soldi per l'impresa non ce ne sono, se l'Europa inserirà Milano nei suoi fondi per lo sviluppo urbano e ambientale lo farà per strade e ferrovie. E l'apertura dei Navigli è uscita di scena. Forse, in cuor suo, al grande interista Beppe Sala un pubblico “no” alla demolizione del Meazza non spiacerebbe. E non soltanto per nostalgia. Ma i conti poi, più che il cuore o la politica, li faranno il business e la volontà delle società. Ma intanto, c'e da affrontare questa croce e delizia, la democrazia diretta.

    Maurizio Crippa