Agenda Di Maio. Assemblea Onu, Libia e non pestare i piedi a Conte

Francesco Maselli

    Roma. Il nuovo ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, troverà sulla sua scrivania molti dossier sensibili, alcuni piuttosto urgenti, anche se la politica estera non pare essere una priorità di questa legislatura. Il suo predecessore, Enzo Moavero, ha scelto di tenere un profilo talmente basso da risultare invisibile e nei primi 26 punti dell'accordo provvisorio tra M5s e Pd la politica estera non compariva (è poi stata inserita successivamente), segno delle divisioni che esistono all'interno del nuovo governo sul tema, ma anche della poca attenzione ad esso riservata.

    Il mandato di Di Maio comincerà subito con un viaggio delicato: dal 17 al 30 settembre si tiene l'assemblea generale delle Nazioni unite, a New York. E' un'occasione di prestigio, che porta con sé dei risvolti molto concreti. Per facilitare il dialogo tra leader politici, i funzionari dell'Onu organizzano i cosiddetti “boots”, degli incontri bilaterali della durata di circa mezz'ora, in piccole stanze allestite per l'occasione. Sono colloqui veloci, informali, dove i ministri parlano senza filtri. Di Maio potrà quindi cominciare a costruire la sua rete di rapporti. Certo, conoscere l'inglese aiuterebbe a evitare di appesantire le conversazioni con un interprete, ma gli Esteri non erano la prima scelta del leader 5 stelle, che avrà bisogno di un po' di tempo per migliorare questo fondamentale. A New York il ministro dovrà affrontare per la prima volta il dossier libico, e si concentrerà poi sui paesi più difficili da raggiungere durante il suo mandato, come quelli dell'Asia e del Sud America.

    Il tema non è secondario proprio per le posizioni espresse dallo stesso Di Maio e dal Movimento 5 stelle sulla crisi in Venezuela. L'imbarazzante sostegno al presidente Maduro e l'ambiguità sull'argomento andranno chiarite, sia in quella sede sia alla conferenza Italia America Latina organizzata dalla Farnesina il prossimo ottobre. Agli alleati Di Maio dovrà anche fare chiarezza sul suo rapporto con Pechino e l'adesione, non concordata con i partner occidentali, alla nuova via della seta.

    In ogni caso, spiega al Foglio un diplomatico italiano, avere il leader di uno dei due principali partiti di governo alla Farnesina è fatto positivo: “Il ministro tecnico è per sua natura debole, perché la Farnesina è il ministero tecnico per eccellenza: il personale è preparato, la macchina è solida, non ha bisogno di una gestione di questo tipo. Ha bisogno del contrario, cioè di avere le spalle coperte dal punto di vista politico”. Insomma, Di Maio potrà ritagliarsi uno spazio, se lo desidera, ma dovrà anche gestire il rapporto con Giuseppe Conte, che proprio grazie alla politica estera ha costruito la sua autonomia. E' bene che i due trovino il modo di coesistere e di portare avanti un'agenda coerente, per evitare di ricadere nella confusione gialloverde, dove coesistevano almeno tre linee confliggenti, quella di Conte, quella di Salvini, e quella, appunto, di Di Maio.

    Secondo le informazioni del Foglio, l'Iran è uno dei dossier che verranno sottoposti con urgenza al ministro Di Maio. Proprio sul rapporto con Teheran, tradizionalmente molto amichevole, Matteo Salvini aveva impresso un'improvvisa svolta (almeno a parole), dichiarandosi in tutto e per tutto d'accordo con la linea del presidente americano Donald Trump. Al contrario, la linea europea, e quindi italiana, è piuttosto diversa da quella americana, ed è più moderata anche per una serie di relazioni storiche e commerciali. La priorità è cercare di salvare il deal sul nucleare, come dimostra l'attivismo del presidente francese Emmanuel Macron durante il G7 di Biarritz e l'ampio spazio dedicato dalla stampa transalpina alla delegazione iraniana che da giorni è a Parigi per condurre i negoziati. L'altro dossier fondamentale e prioritario è la Siria, tralasciata dal governo gialloverde. Un paese che andrà ricostruito e dove la competizione con la Francia, soprattutto per quanto riguarda gli appalti nel settore del cemento, sarà molto forte.

    Proprio dalla Francia dovrà partire Luigi Di Maio, responsabile della più grave crisi diplomatica dal dopoguerra tra Roma e Parigi, che aveva deciso di richiamare temporaneamente l'ambasciatore Christian Masset dopo l'incontro tra l'allora vice-presidente del Consiglio e una pattuglia di Gilet gialli alla periferia di Parigi. Riconciliarsi con i francesi, riaffermare l'appartenenza italiana all'alleanza atlantica, tranquillizzare Bruxelles sul ritrovato europeismo dell'esecutivo. Non è molto, visto il passato di Di Maio e dei 5 Stelle sarebbe già tanto.

    Francesco Maselli