E mentre noi eravamo affannati intorno al nulla della città politica, la Fortuna abbandonava la fuga eroica di un francese giovane e bello

    I l randonneur era un giovane bello che studiava arte a Roma da due anni. Conosco le spiagge del Cilento in quel tratto di costa, tra le più isolate e misteriose d'Italia, per averle viste dal mare sulla mia barchetta. E conosco quei monti impervi e ostili, esposti a est, solcati da gole e acque, che contrastano nella frescura gli effetti caldi del pomeriggio, creando ampia ombra assai prima del tramonto, nel villaggio magnifico di Scario. Da una di quelle spiagge la mattina di un venerdì, dopo averci dormito, organizzato a puntino per raggiungere Napoli a piedi, Simon Gautier ha incominciato la sua passeggiata in ascesa, difficoltosa ma non estrema, dando le spalle al mare, al Golfo di Policastro e al Tirreno meridionale. Di lato, poco distante, riluceva Porto Infreschi o Bagninfreschi, una baia naturale d'acqua fredda per via delle sorgenti. Dall'altra parte Palinuro e il suo capo, dal nome del timoniere di Enea caduto tra le onde calme a notte, sconfitto dal dio del sonno o viaggiatore distratto (come preferite). Anche il viaggiatore Simon deve essersi distratto o forse è stato colpito da un dio. Secondo un suo amico romano, avrà fatto sosta su un dirupo per guardare le acque profonde lì sotto, stregato, e la roccia ha ceduto e tutti speriamo che sia morto presto, presto, subito dopo la telefonata in cui diceva di avere le gambe spezzate, chiedeva aiuto “per favore”, aggiungeva che non ci stava già più con la testa, niente dettagli di geolocalizzazione, stava “morendo di male”, morire di dolore, e l'unica cosa che sapeva era che vedeva il mare.

    Ventisette anni sono pochi per una bella morte tanto dolorosa, solitaria e pietosa. Come sua madre Delphine Godard, non riesco a capacitarmi dei ritardi nella comunicazione di quanto stava avvenendo o era avvenuto, delle insufficienze pareggiate dalla buona volontà dei soccorritori, ma sopra tutto non riesco a capire come la Fortuna abbia abbandonato un'impresa così semplice e solenne, così umanamente divina, come la passeggiata solitaria di montagna verso Napoli attraverso i monti del Cilento. In quei giorni, quel giorno, eravamo tutti affannati intorno al nulla della città politica, all'inseguimento di bisbigli e rutti da bordello, mentre un francese che studiava arte a Roma la faceva, l'arte, con le sue gambe spezzate dall'imitazione della vita e della morte.

    Ci sono più cose tra cielo e terra, si sa. Ma tra il cielo del Cilento, la terra franosa, l'incespicatura, la caduta e il mare che muore di male anche lui c'è tutto quello che divide una giornata sfortunata e letale da una vita pubblica accaldata, affollata, troppo affollata, stupida e profondamente immorale. Isolarsi, distaccarsi, passeggiare, stancarsi, coltivare un cammino, guardare, abbeverarsi fino alla morte per acqua, come Phlebas il Fenicio, non è un gesto romantico, una ricerca di salute, è una fuga eroica o così mi appare. La terra è desolata, ma non muore, come dicono quelli dell'altro bla bla, muoiono gli uomini che dicono a sé stessi di non esser ancora morti.