Finalmente abbiamo il dibattito sul merito che ci meritiamo Il cortocircuito fra competenza e tracotanza

    M eritocrazia è una delle parole più inquietanti mai incluse in un vocabolario, di qualunque lingua. Non a caso la persona che l'ha coniata, Michael Young, la intendeva in senso negativo. La meritocrazia ha antecedenti importanti nella storia del pensiero, dalle parti dell'illuminismo, ma nei suoi sessant'anni di vita ha avuto un doppio rovesciamento. E' stato prima sinonimo dell'arroganza dei meritevoli – come mostra lo stralcio di Daniel Bell pubblicato più in basso – poi parola d'ordine obbligatoria di qualunque politico in occidente. Non possiamo non dirci meritocratici era il mantra interiore di ogni leader rispettabile. Obama durante la sua presidenza lo ha ripetuto per 135 volte nella sua versione pop, “you can make it if you try”. Ma se poi non ce la fai, pur avendoci provato? Sotto la pressione di questa domanda è iniziata una fase di riflusso. Un eterogeneo gruppo di intellettuali ora critica questa parola-passepartout ritagliata sulla sagoma di un individuo solitario, competitivo, antisolidale, chiuso alla possibilità della grazia e impermeabile alla logica del dono. “Il pensiero dominante” tenta di mettere ordine, ma senza esagerare, in questo guazzabuglio critico, offrendo qualche indicazione per trovare l'uscita di sicurezza e registrando il fatto che la meritocrazia sta tornando al significato negativo originario. E forse se lo merita.