Giggino e Matteo: appello per separare le carriere tra politici e pm

Giuseppe De Filippi

    I l problema non è tanto che le contrattazioni sui titoli di Atlantia fossero ancora aperte mentre Luigi Di Maio cominciava a pronunciare la prima parte della sua intemerata contro la holding che controlla Autostrade per l'Italia e Autogrill. I mercati sono abbastanza scafati per sapere che le sue minacce sono vuote e che le sue espressioni di disprezzo sono così rudi e al tempo stesso ingenue a causa di una scarsa conoscenza delle sfumature e della varietà della lingua italiana e di una assenza totale della capacità di entrare in relazione con mondi complessi, in cui siano in gioco più interessi e diversi e compositi insiemi di diritti legittimi e di aspettative. E non ha neanche un grande rilievo polemico sollevare il tema dei posti di lavoro a rischio. Non perché non esista un qualche pericolo dalle intemerate politiche anche per il personale, ma perché non è problema immediato, per le stesse ragioni che determinano l'indifferenza annoiata dei mercati, e potrebbe invece diventare una questione seria solo in caso di effetti di lunga durata non tanto della persecuzione contro Atlantia quanto per un atteggiamento generale di contrasto all'imprenditoria dal quale potrebbero derivare, con esiti imprevedibili, in una specie di lotteria negativa, conseguenze negative per questo o quel settore, particolarmente se esposto a relazioni con lo stato attraverso concessioni o altri contratti simili. Ecco, il problema, insomma, è l'intorbidamento di tutto l'ambiente delle relazioni tra stato e aziende private. E questo può durare anche quando sarà terminata l'esperienza politica del decotto Di Maio. Il giorno dopo la sortita nel salotto di Bruno Vespa, e siamo a ieri, Di Maio ha provato a rinforzare il suo messaggio, chiamando in causa non più Atlantia ma direttamente, in quanto entità unica, l'intera famiglia Benetton. Leggendo le sue dichiarazioni si immaginava già il lavoro di accorti avvocati, per mille ragioni, tra cui l'attribuzione a un cognome, a una famiglia, di responsabilità penali terribili e agghiaccianti, con frasi ripetute in cui si saltava il concetto di accusa per arrivare direttamente alla condanna. Non c'era il coraggio di un'accusa pubblica, che, oltre ad avere illustri predecessori, comporta l'assunzione di una responsabilità e della disponibilità a difenderla, ma c'era direttamente, ancora una volta in modo rozzo e ingenuo, direttamente la condanna. Impancandosi nel ruolo di procuratore e, al tempo stesso, di giudice. Il tutto mentre la procura, riguardo alla tragedia del ponte, procede in varie direzioni, tra cui non spicca quella accusatoria verso gli azionisti, e il tribunale deve ancora essere chiamato in causa. Però c'è Di Maio a fare un po' tutto. Ma solo a ridosso delle scadenze, come l'operazione, riuscita, di collasso dei tronconi del ponte e, in vista del 14 agosto, del primo anno dal disastro. Allora, nel suo orizzonte limitato si percepisce che Di Maio ce l'aveva con sé stesso, che si vergognava delle promesse e delle intimidazioni vendute a ridosso del crollo e durante l'emozione dei funerali. Impegni battaglieri che gli risuonano in testa mentre non sa più che dire. E ripete le stesse accuse e propone la stessa strategia, quella della revoca della concessione, che venne corretta in caducazione dall'avvocato di fiducia. Senza curarsi della fattibilità, dei costi per lo stato, e infine del senso di quell'operazione. Ovviamente anche nel toccare il tema delle tariffe Di Maio aveva sfoggiato il ricorso a qualche repertorio da cultura internettiana minore e improvvisata, dicendo che “sogna autostrade gratuite, come in Germania”. Informazione falsa, perché in Germania si paga un fisso annuale a titolo di imposta di 100 euro e, comunque, nel 2020 dovrebbe tornare la tariffazione a pedaggio. Di Maio, forse, cercava qualcosa che facesse titolo per almeno sottrarre un po' di spazio all'altro procuratore capo abusivo, il ministro dell'interno Matteo Salvini, che le sue indagini e processi sommari li stava celebrando verso l'equipaggio della Sea Watch 3. I due vicepremier: uno procuratore a Genova, l'altro a Lampedusa. L'appello è che, se non altro in questo caso, si separino le carriere, almeno le loro.

    Giuseppe De Filippi