Come cresce il calcio italiano

    E ra sulla carta la più forte di tutte, con l'ulteriore vantaggio di giocare in casa. L'unica a non avere rinunciato a niente e nessuno, pur di conquistare il titolo. Sono stati richiamati addirittura sei giocatori ormai stabilmente impiegati nella Nazionale maggiore: Mancini, Barella, Pellegrini, Zaniolo, Chiesa e Kean. Le avversarie, invece, ai più forti, anche se ancora in età, hanno rinunciato. La Francia si è presentata non solo senza Mbappé, come ovvio, ma pure senza Pavard, Lucas Hernandez, Ndombele, Osmane Dembele. La Germania senza Sane e Gnabry. La Spagna senza Rodri e Asensio. L'Inghilterra senza Alexander-Arnold, Dele Alli, Sancho, Rashford.

    Abbastanza inspiegabilmente, la Under 21 azzurra ha giocato male perfino quando ha vinto, contro Spagna e Belgio: poca organizzazione, poche idee, poca qualità nello sviluppo delle manovre. Così come male aveva in realtà giocato la Under 20 ai Mondiali in Polonia. Niente a che vedere con la Nazionale di Mancini: difesa e contropiede per passare le prime fasi, una sola partita con sprazzi di gaia spensieratezza contro il Mali, grazie al fatto che gli avversari erano rimasti subito in dieci, e poi due brutte sconfitte a chiudere, in semifinale e finalina per il terzo posto. Così come Di Biagio, anche Nicolato, persona altrettanto perbene, ha badato più al risultato e alle regole del gruppo, che vanno bene purché non si esageri, sono ragazzi, che non alla crescita dei giocatori. E' un po' il limite di tutti gli allenatori italiani. Un limite che a livello giovanile fa ancora più danni: perché a quelle età è più importante imparare a giocare meglio che non a vincere e obbedire.

    Negli ultimi anni a Coverciano è stato fatto un importante lavoro di scouting sui giovani, grazie al quale oggi abbiamo un po' più di fiducia nel futuro azzurro. Ora il pericolo da evitare è che questo lavoro si concentri su un gruppo limitato e abbastanza chiuso di giocatori. Da questo punto di vista, i travasi continui da una Nazionale all'altra, non solo verso l'alto, ma pure verso il basso, non sono convincenti. Così come non lo è la scelta di tecnici che vedono il calcio in modo diverso da Mancini. Il problema è che oggi abbiamo un gruppo di giovani italiani di buone prospettive, qualitativamente ricco, ma quantitativamente molto scarno. I settori giovanili dei club continuano a essere trascurati e il progetto delle seconde squadre, che funziona ovunque nel mondo, non ha decollato. Anche la prossima stagione ce l'avrà soltanto la Juventus. Così, continuiamo a non poter valutare le potenzialità di ragazzi che riescono a giocare solo nelle formazioni Primavera, in un campionato molto poco probante. Un esempio per capirci. Nel Torino Primavera gioca un attaccante, Millico, che sembra avere grandi mezzi. E' un 2000, ha solo pochi mesi meno di Kean, ma in prima squadra c'è un allenatore, Mazzarri, bravissimo, ma che dei giovani non si fida. Quanto dovremo aspettare per capire se Millico potrà diventare uno dei giocatori italiani più importanti?