Scacchi da matti

    I n genere giocando non si parla, ma talvolta si ha una curiosa eccezione in coloro che, in partite estemporanee, arrivano all'estremo opposto, e non smettono mai di parlare: c'è chi recita versi di Lewis Carroll, chi dice delle tiritere che non hanno senso nemmeno per loro stessi. Uno, per esempio, diceva, quando dava scacco: Shminkus, krakustyfus mit plafkes schrum schrum. Un altro: Andiamo a Vera Cruz con quattro acca. Lo scrive Reuben Fine nel suo La psicologia del giocatore di scacchi (Adelphi, 1982), un meraviglioso saggio che indaga fra le psicosi degli scacchisti, ingrediente probabilmente necessario per poter dedicare la propria vita a questo diabolico e affascinante gioco. D'altra parte se Wilheil Steinitz, soprannominato il Michelangelo degli scacchi e primo campione del mondo, arrivò a giocare in preda a stati allucinatori lunghissime partite con Dio (concedendogli il vantaggio di un pedone e della prima mossa) un motivo ci sarà! Quello che uno sconosciuto ecclesiastico del Seicento definiva “il male degli scacchi”, una via di mezzo fra passione e persecuzione, colpisce indistintamente, senza guardare in faccia nessuno, dilettanti o professionisti. Il gioco, pare, nacque nella notte dei tempi in India che è anche il luogo dove Paolo Maurensig colloca le radici del suo romanzo di ritorno al mondo degli scacchi. L'esordio dello scrittore goriziano fu infatti con il brillante La variante di Lüneburg (Adelphi, 1993), il racconto di tragiche partite fra un ufficiale nazista e un talentuoso scacchista ebreo che mettevano in palio la vita, all'interno di un campo di concentramento. Maurensig, dopo ventisei anni, si misura nuovamente con le storie infinite che una scacchiera può generare nel suo Il gioco degli dèi (Einaudi, 2019), la storia romanzata di Malik Mir Suktan Khan, che baciato da un talento straordinario, letteralmente un dono divino, diventerà il miglior scacchista degli anni Trenta, arrivando a battere il campione cubano Josè Raul Casablanca. Muovendo i nostri pezzi fra romanzo e storia fa capolino così un'altra vicenda, proprio quella del Maestro de L'Avana capace di conquistare donne e scacchiera al punto da esaurire ogni suo interesse. Certo di non poter mai più perdere una partita (e immaginando che con le donne non ci fosse molto altro da fare) propose di creare una nuova scacchiera: cento case, con l'aggiunta di quattro pedoni e due pezzi per colore, dai movimenti inediti. Fiction e realtà si intrecciano, si sfidano, si superano, si confondono, storytelling e fatti diventano la stessa cosa nella dinamica di un gioco che sembrerebbe tattica allo stato puro e che invece si manifesta attraverso una vera, spietata, feroce lotta non solo fra cervelli, ma fra corpi. Tutte queste cose me le ha raccontate colui che mi sono scelto come personale Virgilio per un'escursione nel mondo degli scacchi, il poliglotta Yuri Garrett, allenatore di campioni e direttore della casa editrice Caissa Italia: un paradiso per gli appassionati, pieno di testi di tecnica, di monografie o di biografie come quella di Bobby Fischer, anche lui campione del mondo, dal titolo Mi hanno torturato nel carcere di Pasadena! (Caissa Italia, 2011) o del baritono e boxeur mancato Vasiliij Smyslov, Alla ricerca dell'armonia (Caissa Italia, 2005). Centodiciassette testi sugli scacchi per professionisti, amatori, bambini: non c'è che l'imbarazzo della scelta. Così, con un po' di imbarazzo, ne scelgo uno, certamente fra i più semplici. Si tratta del libro di Mario Leoncini, A ladro! (Caissa Italia, 2005). Ottantasei pagine di brevi aneddoti e storie del mondo degli scacchi. Protagonisti personaggi come il Che Guevara, Kissinger, Marx, Lincoln, I Beatles, giocatori occasionali o grandi campioni come Mikhail Tal, alle prese con un ippopotamo da tirar fuori dalla palude. Un testo facile, gustoso, divertente: la trappola ideale per finire nelle spire di un gioco che non uscirà più dal vostro cervello.