Trump fa un go & stop contro Teheran

Daniele Raineri

    G iovedì notte il presidente americano, Donald Trump, ha bloccato all'ultimo momento un'operazione per bombardare tre siti militari dell'Iran, quando gli aerei americani erano già in volo. Da almeno quindici anni le Amministrazioni americane che si succedono alla Casa Bianca prendono in considerazione l'idea di attaccare l'Iran, ma nessuno era mai arrivato così vicino – almeno per quanto sappiamo in pubblico. Il bombardamento era stato deciso alla Casa Bianca dopo molte discussioni del presidente con i suoi consiglieri – lui era contro, loro erano a favore – per rispondere all'abbattimento da parte iraniana di un sofisticato velivolo di sorveglianza senza pilota sopra lo stretto di Hormuz (gli iraniani sostengono che il drone “era entrato nel nostro spazio aereo”, gli americani dicono invece che “era in acque internazionali a più di trenta chilometri dalla costa”).

    “Ho chiesto a uno dei miei generali quante vittime avrebbero fatto le bombe – Trump ha scritto ieri su Twitter – mi ha risposto centocinquanta sir”. Il presidente ha deciso in quel momento di fermare l'operazione mentre ormai mancavano soltanto dieci minuti alla distruzione dei bersagli perché quella rappresaglia “per un aereo senza pilota” sarebbe stata “sproporzionata”. La decisione non è sorprendente perché arriva dopo molti segnali che vanno tutti nella stessa direzione: Trump non vuole una guerra americana in Iran. Quando comunica assume spesso una posa aggressiva e risoluta e gli piacciono le decisioni simboliche – come spostare l'ambasciata americana a Gerusalemme – ma nei fatti detesta l'idea di un'altra “endless war”, una guerra senza fine, all'estero. E si vede. Quando il 13 giugno due petroliere sono state attaccate non lontano da dove il drone è stato abbattuto, il presidente americano ha accusato l'Iran ma ha anche minimizzato: sono eventi “very very minor”, ha detto. Poi in settimana ha detto ai suoi di abbassare il tono della retorica bellicosa contro l'Iran (Trump ha un'Amministrazione molto aggressiva nei confronti di Teheran). Giovedì per commentare l'abbattimento del drone ha detto che in Iran qualcuno “loose and stupid” aveva fatto un grande errore. Loose and stupid è una scelta di parole per indicare che qualche persona poco connessa al governo iraniano aveva – sempre secondo Trump – preso una decisione stupida. Insomma, quasi un errore militare. Ieri infine, prima di bloccare il bombardamento, aveva avvertito in anticipo gli iraniani che stavano per essere bombardati attraverso il governo dell'Oman, che spesso fa da intermediario fra i due, e ha fatto recapitare il messaggio che lui vuole “talks”: negoziati. Ma nemmeno questo l'ha convinto e così ha deciso di fermare l'operazione – che quindi si è trasformata in un'esercitazione molto realistica. E' probabile che gli americani abbiano preso nota di come il sistema radar e di difesa iraniano ha reagito all'attacco interrotto, anche se non sappiamo quanto vicino sono arrivati i bombardieri (dieci minuti potrebbe essere un'iperbole trumpiana).

    Gli iraniani hanno ricambiato la cortesia. Invece che usare il solito repertorio aggressivo, hanno spiegato di avere avvertito due volte il drone che aveva sconfinato nel loro spazio aereo, e hanno detto che avrebbero potuto abbattere anche un secondo aereo americano, questo però con 35 militari a bordo, che seguiva il drone, ma che hanno scelto di non farlo. Entrambe le parti sembrano avere fissato la linea rossa che non deve essere attraversata nella perdita di vite umane. Tutto bene dunque? Per nulla, perché quando due macchine militari a contatto così stretto si fronteggiano con manovre ostili in molti paesi, dalla Siria all'Iraq allo Yemen al Golfo, ogni incidente può degenerare in un conflitto. Poche settimane fa un elicottero americano in partenza da una base irachena ha sparato alcuni flare, che sono ordigni innocui che emettono calore e fumo per ingannare eventuali missili a ricerca di calore. Una postazione di milizie filoiraniane vicina ha creduto di essere sotto attacco. Se avessero abbattuto l'elicottero non sappiamo cosa sarebbe successo, in questo clima di guerra. Negli ultimi sei giorni le milizie filoiraniane hanno sparato pochi razzi su quattro basi militari in Iraq che ospitano soldati americani. I razzi sono caduti all'aperto e non hanno fatto danni, ma cosa sarebbe successo, di nuovo, se avessero colpito gli alloggi dei soldati americani? La situazione non è sotto controllo.

    Anche il predecessore di Trump, Barack Obama, fermò all'ultimo momento un'operazione militare per bombardare – in quel caso l'esercito del presidente siriano Bashar el Assad, dopo un massacro di civili compiuto con armi chimiche nell'agosto 2013. Gli alleati francesi che si erano uniti all'operazione furono avvertiti in ritardo del ripensamento, quando avevano già ordinato ai bombardieri di accendere i motori. Obama fermò l'attacco perché era convinto di poter negoziare con la Siria la distruzione di tutte le armi chimiche in mano al regime e in effetti pochi giorni dopo il mancato bombardamento ci fu un accordo a tre, con la Russia come garante, che stabilì la consegna e la distruzione dell'arsenale chimico di Assad. Ma nell'aprile 2017 il mondo scoprì con orrore che l'esercito siriano aveva ancora a disposizione armi chimiche e che le aveva usate contro i civili di un villaggio nel nord del paese.

    In molti ora si chiedono: queste operazioni minacciate e poi interrotte annunciano la fine della capacità americana di fare deterrenza? Se l'America accusa l'Iran di avere attaccato il traffico internazionale di greggio in uno stretto strategico e di avere abbattuto un drone da 130 milioni di dollari nello spazio aereo internazionale e poi non fa nulla, gli iraniani potrebbero convincersi di avere molti spazi di manovra. Non resta che vedere cosa succederà nei prossimi giorni e nelle prossime settimane.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)