Una domanda sulla milano olimpica In che cosa possiamo sperare, dentro a tutto questo casino? Idee per non perdersi a inseguire un sogno

    Lo diceva già l'Ingegnere, bisogna correre, andare. E' così che siamo, qui. Un po' lombardi e un po' no. Antropologicamente unici: non leghisti, poco identitari, il diverso ha bisogno di noi, noi del diverso. Italiani e non italiani (nemmeno Gaber risolse il dilemma), capoluogo di regione ma anche città-stato. Chi viene qui per un selfie davanti alla Madonnina, o all'Ottagono, o in Gae Aulenti non viene in Italia, lo sa e forse viene qui proprio per questo.

    Milanesi-napoletani, milanesi-cinesi, milanesi-egiziani. Più mercuriali rispetto alla provincia, più tecnici, più ingegneri (appunto) o geometri, consulenti, pr, gente non del che si dice ma del come si fa. Amici delle maestranze, soprattutto bergamasche.

    Tutto corre sui marciapiedi, sul wireless dei nostri smartphone. Entri dal salumiere e dopo cinque minuti ecco tre salumieri che ti chiedono l'amicizia su Instagram. Se era prosciutto, tutta San Daniele è ai tuoi piedi. E se è scattato il verde e tu mi suoni perché non parto, ma cristo, non vedi che sto parlando col sovrintendente? colla pedicure? La Smart City è una parola del passato, l'iperconnessione non più un obiettivo ma una iattura da sopportare pazientemente.

    Milano sottosopra, e la metro quattro, City Life, tutti 'sti cantieri, e poi i cantieri mancati, lo schifo di Porta Vittoria, le case aler (alert!) cunt denter i sasini, i mille locali-lavanderia con personale simpaticissimo e tanta mozzarella di bufala freschissima, i musei da riformare (biglietto unico, c…) insomma una città sempre da fare, fare, fare, e rifare, perché se no cade su sé stessa, s'è già visto. Non c'è tempo per i monumenti, per i patrimoni dell'umanità. E le lampadine della pubblica illuminazione costano, c'è poco da ridere.

    Milano è fatta anche di tante cose che si sanno già, questa è anche la sua pecca. Sappiamo già come va il mondo, sappiamo che tutto va per natura verso il peggio, perciò se si vuol tenere in piedi sto chiamatelo miracolo o baraccone del circo che è la Milano di questi anni c'è da correre sempre, come al tempo di Bonvesin, o di Leonardo.

    Sarà la nuova Milano da Bere? Non lo sarà? Il 2019 ci suggerisce una risposta: ma chi c… se ne frega? Che c… di domanda è?

    Gli Starbucks sono rifioriti qui dopo un periodo di planetaria decadenza: diversi, caffè di qualità migliore, torrefazione in loco. Le palme abbelliscono Milano, e pochi sanno che non è casuale, dato che una palma abbelliva l'incontro del cardo e del decumano, oggi sotto la chiesa del S. Sepolcro, che anco ne serba memoria.

    Ed eccoci al detto ciò. Le Olimpiadi. Sento i commenti in giro, perché ci piace commentare. Mentre andiamo, mentre corriamo. Sulla 54, sull'81, sui social. Con le cartelle delle analisi in mano, con le borse dell'Esselunga. I commenti bramano gli scenari. Più Giorgetti, più Zaia che Salvini. Solo la Lega può sconfiggere la Lega.

    Economia. Indotto. Soldi in vista. Non siamo Shylock, non siamo Gilberto Govi, non siamo Pantalon de' Bisognosi. Ai vantaggi economici ci si penserà, il mattone cresce, l'Invenduto, lo Sfitto che sono i grandi fantasmi milanesi troveranno forse acquirenti al venti, al trenta per cento del valore catastale. Anche al cinquanta, o al cento. Sarà più difficile acquistare un buco per i figli, anche al Figino, più facile realizzare. Così magari venderemo, andremo a vivere a Busto, a Vienna, ci ritireremo a Rapallo. I nuovi milanesi verranno dall'Olanda, da Macao. E questa è Milano, quella che è sempre stata.

    L'immaginario ironico (il milanese, fosse pure di origine libanese, è un narratore ironico) si concentra sul Monte Stella, fatto coi calcinacci dei bombardamenti, oggi destinato a diporti domenicali, ma domani innevato ad arte, con Alberto Tomba a fare da apripista. Il Palalido è a nuovo, ci metteremo del ghiaccio.

    Ma poi il pensiero va a i giovani. Ai nuovi posto di lavoro. Nelle infrastrutture, soprattutto, come succede ad anno, nella ristorazione. Avremo nuove mozzarelle di bufala, e quindi chi gestirà il flusso dei giovani? chi saranno i sommersi? chi i salvati? ai nostri figli che studiano da avvocato, da conservatori di beni culturali, da econometristi sarà concesso un posto da montatore di palchi, da imbottitore specializzato di tramezzini veneziani? Ci salverà la Fondazione Prada? La Triennale ha già un progetto? E l'Inter? E il Milan?

    E allora, una volta setacciato il mondo, dopo aver riso all'idea del Montestella innevato colle bandierine e dopo qualche bestemmia contro quelli che faranno soldi a palate, lasciate da parte le rabbie di prammatica, la domanda vecchia come il cucco rinasce. Non se saremo o non saremo una nuova Milano da bere, ma - più modestamente: in cosa possiamo sperare, dentro tutto questo casino?

    In due cose, credo.

    In un'amministrazione saggia, che col passare dei sindaci e delle coalizioni sappia offrire sempre un'interlocuzione continuativa ai soggetti che la cercano (aziende, imprese, associazioni non profit, poveri cristi).

    E, lo dico sommessamente, nella Chiesa, quella dei preti e quella dei laici, che offra sempre scuole, case d'accoglienza, pane, cura, sollecitudine, cultura, che non dimentichi – ecco: che non dimentichi. Che non pensi ai propri affari.

    Perché noi ci siam persi tutte le volte che ci siamo dimenticati, noi ingegneri, noi capicantiere, noi direttori del personale: a inseguire un sogno.

    Non inseguiamo sogni. C'è tanto da fare.