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Un Foglio internazionale

Le violenze allo Stade de France  sono il sintomo di una società spaccata

Grandi eventi perturbati da tensioni. E i poteri pubblici sembrano accettare la situazione. Il Figaro ha intervistato il filosofo Robert Redeker
 

Ronan Planchon (per Le Figaro) – I fatti accaduti sabato 28 maggio allo Stade de France (in occasione della finale di Champions League tra Liverpool e Real Madrid) sono a suo avviso l’ennesimo esempio delle derive che lei denuncia nel libro “Peut-on encore aimer le football” (Robert Laffont)?

Robert Redeker – Segnata dalla violenza, la stagione 2021-2022 è stata una stagione nera per il calcio francese. Tutti si ricordano dell’aggressione ai danni di Dimitri Payet (giocatore dell’Olympique Marsiglia colpito da una bottiglietta piovuta dagli spalti durante la partita Lione-Marsiglia dello scorso novembre, ndr). C’è stato bisogno di diverse partite a porte chiuse. Le tribune sono diventate dei campi di battaglia. Non abbiamo bisogno di ricorrere a una veggente e alla sua sfera di cristallo per prevedere che una partita si chiuderà nel caos, e che una manifestazione sindacale o politica finirà allo stesso modo. Il legame tra i due eventi – le partite di calcio e le manifestazioni di protesta – si impone. Il 28 maggio, allo Stade de France, e il 29 maggio a Saint-Étienne (invasione di campo e violenze in seguito alla retrocessione in Ligue 2 della squadra di calcio del Saint-Étienne, ndr), sono il triste prolungamento del 1° maggio a Parigi, così come dei disordini verificatisi durante le manifestazioni. La Francia si è abbonata alla violenza durante gli eventi che riuniscono le folle, e i poteri pubblici la accettano come se fosse qualcosa di rituale. E’ l’effetto dell’atomizzazione sociale: il nostro paese è sempre meno un popolo, sempre meno una nazione, e sempre più una folla di individui immersi nell’anomia. L’aumento dell’astensionismo durante le elezioni è un altro aspetto di questa atomizzazione generatrice di anomia.

 

Alcuni, come il ministro dell’Interno, hanno accusato i tifosi di calcio. Gli eventi di maggio sono inerenti a questo sport o sono il sintomo, più in generale, dei mali della nostra società? 

E’ stata superata una frontiera. Gli eventi del 29 maggio evidenziano un cambiamento: segnano l’incontro tra la violenza da molto tempo endemica nel calcio, quella di alcune associazioni “ultras” di tifosi, e quella di alcune bande di giovani provenienti dalle banlieue, abituati agli scontri urbani e alla piccola delinquenza. Da alcuni anni, queste bande si mischiano anche ai cortei sindacali, aspettando il momento propizio per darsi al vandalismo e al saccheggio. Per dirlo con ironia, questi disordini inaugurano una “intersezionalità” della violenza chiamata a ripetersi in occasione dei prossimi eventi sportivi. L’arrivo del Tour de France sugli Champs Elysées il 24 luglio si annuncia ad alto rischio. Il calcio è uno specchio su cui si riflette la totalità dell’universo umano. Le patologie psicosociali del mondo contemporaneo trovano nel calcio un palcoscenico sul quale esibirsi: deresponsabilizzazione, mancanza di rispetto verso le altre persone, disprezzo della proprietà collettiva (sulle tribune), trasformazione dei calciatori in star (sul terreno di gioco), delirio finanziario del business. Più in generale, questi eventi sono il sintomo di una società spaccata che nessun valore comune, nessun orizzonte collettivo, nessun sentimento di comunità di destino sembra in grado di riunificare fino a quando l’istituzione scolastica non sarà ricostruita.

 

“Le scene di gioia dei francesi ci ricordano fino a che punto la festa sia un bisogno sociale”, ha scritto nel suo libro. Il calcio è l’ultimo mezzo per essere felici collettivamente? Eventi come quelli accaduti sabato 28 maggio cambiano la situazione? 

Non esiste una società senza feste né riti, perché l’uomo è un animale religioso. La questione, dunque, non è soltanto quella di “essere feliciti collettivamente”. Le partite di calcio sono chiamate a sostituire le grandi feste liturgiche o politiche la cui funzione era quella di prodigare un immaginario capace di unire gli uomini gli uni con gli altri in un tutto armonioso. Alla stregua della Festa della federazione, della Festa nazionale, di alcune feste cattoliche del periodo della monarchia, feste teologico-politiche, le partite di calcio sono dei rituali considerati capaci, attraverso l’immaginario che diffondono, di assicurare la fusione di una moltitudine di persone in un’unità. La questione non è affatto quella di promuovere il “vivre ensemble”, che significa vivere gli uni accanto agli altri, nell’indifferenza pacifica degli uni verso gli altri, ognuno secondo la propria moda, formula che definisce la giustapposizione, insomma il contrario della società, ma quella di riunirsi secondo una logica di fraternità. Ricordiamoci che la parola “fraternità” rimanda alla forza del legame familiare, l’esatto contrario dell’insipida neutralità del “vivre ensemble”.

 

(Traduzione di Mauro Zanon)

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