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Un Foglio internazionale

Dopo l'Ucraina toccherà a Taiwan?

Tra Russia e Cina analogie di nazionalismi e rivendicazioni. Che cosa può fare l’occidente (non promettere un sostegno che non potrà fornire)

"Negli ultimi mesi mi è tornata in mente una conversazione che ho avuto più di trent’anni fa. La Guerra fredda stava finendo, e un nuovo stato russo e post sovietico era all’orizzonte”. Inizia così il Weekly Dish di Andrew Sullivan del 25 febbraio. “Ricordo di aver parlato con un amico giornalista di quanto fosse potenzialmente sconvolgente questa catena di eventi: il ritorno della Russia come grande potenza avrebbe riesumato il suo antico senso di patria e la sua vecchia religione, e il paese avrebbe riacquisito un ruolo centrale negli affari europei e globali. Probabilmente non sarebbe diventata una democrazia, ma nemmeno più uno stato totalitario (…). Il mio amico mi guardò come se fossi pazzo. Disse: la Russia è sempre una minaccia. Il Cremlino è sempre il Cremlino, che sia comunista o nazionalista. L’America dovrà sempre confrontarla e contenerla. Ora abbiamo l’opportunità di mantenere la Russia permanentemente nelle sue dimensioni attuali e ridotte, e proteggere i suoi vicini dalla minaccia sotto cui hanno sempre vissuto. Quindi perché stiamo temporeggiando? Nessuna concessione ai russi!

E non aveva mica torto, no? L’invasione brutale e orribile ai danni dell’Ucraina – uno stato sovrano e indipendente dal 1991 – di certo rafforza la sua tesi. La sfrontatezza di questo attacco e del tentato regime change ha scioccato anche chi nutriva qualche simpatia nei confronti della visione del mondo putiniana. E ascoltando i monologhi del presidente questa settimana ho avuto la conferma che lui ha sempre visto l’egemonia russa nell’est Europa come qualcosa di indistinguibile dal destino storico della Russia. Putin non riconosceva, e non riconosce tutt’ora, la distinzione su cui si basava il mio ragionamento: l’esistenza di una Russia diversa dall’Unione sovietica. Molti hanno visto la morte del regime sovietico come una rinascita della Russia. Putin l’ha vista solamente come il funerale del potere e del prestigio russo, e si è ripromesso di restaurarlo. Ma questo non significa nemmeno che avevo torto all’epoca. Ero stato un romantico, in un certo senso, credendo che esistesse ‘un’anima russa tormentata’ di cui hanno parlato molti scrittori nei secoli, qualcosa di europeo e asiatico allo stesso tempo, qualcosa di profondo, alieno e oscuro. Credevo che in futuro la Russia sarebbe diventata leggermente più democratica ed europea, pur senza perdere la sua differenza di fondo, una sorta di diversità che nemmeno il comunismo sovietico era stato in grado di eradicare. Non ero convinto che la Russia sarebbe diventato un paese europeo come gli altri, ma non credevo nemmeno che dovesse essere un nemico eterno o un paria paranoico”. 

 

Andrew Sullivan racconta di essere stato affascinato dallo scrittore Solgenitsyn, che era allo stesso  tempo un fervente anticomunista e un reazionario, profondamente nazionalista e illiberale.

Molti neocon americani negli anni Novanta non si rendevano conto che l’opposizione al comunismo sovietico avesse diverse forme, sia liberali che nazionaliste. Nelle fantasie di Sullivan, il nascente stato russo autoritario avrebbe conseguito i suoi interessi nazionali anziché combattere una crociata ideologica per l’equità di trattamento. E questo sarebbe andato bene per l’occidente. Di quali interessi si trattava? Nel 1939 Winston Churchill parlò degli “interessi storici e vitali della Russia”, un apparente riferimento all’annosa paranoia di Mosca nei confronti della sua sfera di influenza nell’est Europa che include, ovviamente, anche l’Ucraina.

Sia la Francia di Napoleone che la Germania di Hitler hanno provato a invadere la Russia, dando vita a conflitti sanguinosi che hanno forgiato l’identità nazionale russa. Non è un mistero che Mosca si preoccupa quando l’occidente si avvicina ai suoi confini. Quando dopo il crollo dell’Unione sovietica la Nato ha inglobato gli ex stati membri dell’Urss, molti diplomatici e statisti (tra cui Kissinger, Gorbachev, Eltsin, Brzezinski, Moynihan, Gaddis e Burns) hanno temuto delle conseguenze negative. Nel 1998 lo studioso e diplomatico americano George Kennan etichettò questo processo come “un tragico errore” e disse di non “vedervi alcuna ragione. Nessuno sta minacciando nessun altro… Ci siamo impegnati a proteggere alcuni paesi, anche se non possediamo né le risorse né le intenzioni per riuscirci in alcun modo serio”. Questa tesi è ancora attuale, nota Sullivan. Inoltre, Kennan aggiunse all’epoca: “Sono particolarmente infastidito dalla nostra descrizione della Russia come un paese che muore dalla voglia di attaccare l’Europa occidentale. La gente non capisce? Durante la Guerra fredda le nostre differenze riguardavano il regime sovietico comunista. E ora stiamo girando le spalle alle stesse persone che hanno preso parte alla più grande rivoluzione senza sangue della storia per rimuovere il regime sovietico”. Kennan è andato anche oltre: “Ovviamente ci sarà una reazione negativa da parte della Russia, e poi (i fautori dell’espansione della Nato) risponderanno che vi abbiamo sempre detto che i russi sono fatti così – ma questo è sbagliato”. 

 

Secondo Sullivan, questo dibattito è irrisolvibile e, in fin dei conti, accademico. Non possiamo sapere cosa sarebbe successo se la Nato fosse stata più magnanima dopo la vittoria della Guerra fredda, concedendo alla Russia più spazio e dignità. Magari un leader autoritario alla Putin sarebbe comunque salito al potere, dando ragione all’amico scettico di Sullivan. Guardando al futuro, l’autore si domanda cosa può fare l’occidente per rendere l’invasione russa dell’Ucraina un fallimento. Le sanzioni economiche e il sostegno alla resistenza di Kyiv sono un buon punto di partenza. Tuttavia, l’azzardo di Putin potrebbe dare il via ad altri processi ancora più pericolosi per il leader russo: una maggiore spinta verso l’indipendenza energetica da parte dell’Ue, il rafforzamento del senso di patria ucraino, e una resistenza domestica in Russia animata dalle folle ostili alla guerra. Ma, in un certo senso, Putin ha già vinto. Una potenza nucleare ha invaso uno stato confinante in Europa, e nessuno è stato in grado di fermarla. Così facendo la Russia “ha svelato il nostro bluff”, sostiene Sullivan. 

Ma questo scontro nasconde un’incognita più grande: in che modo cambierà i rapporti tra la Cina e Taiwan? Per l’America la Cina è il più grande rivale geopolitico, e le analogie con la Russia sono sconcertanti. “La Cina vede Taiwan come parte della sua identità nazionale in un modo simile alla Russia con l’Ucraina. E l’occidente si è impegnato a difendere Taiwan nella stessa maniera in cui si era impegnato a difendere l’Ucraina: un po’, ma non proprio. Dinanzi a questa ambiguità di fondo dell’occidente, Xi starà guardando attentamente la caduta di Kyiv”. Sullivan prosegue il suo paragone: “Oltre a essere il vicino di casa, Taiwan è molto legato alla Cina da un punto di vista storico e culturale. Allo stesso modo, l’Ucraina ha un legame unico con la Russia. Vedere Taiwan e la Cina (e l’Ucraina e la Russia) come due stati sovrani qualunque con un diritto all’auto determinazione sancito dalla legge è corretto. E’ anche morale, dato che la maggioranza degli ucraini e dei taiwanesi vogliono l’indipendenza e hanno dato vita a democrazie in seguito all’autocrazia. Ma allo stesso tempo la passione nazionalista che la Russia prova nei confronti dell’Ucraina e che la Cina prova nei confronti di Taiwan è reale, viscerale e difficile da capire per chi viene da fuori. Tra i nazionalisti russi e cinesi è forte la sensazione che si tratta di regioni ribelli fuggite dalla madrepatria. Questo genere di idee – la pretesa di possedere una ‘sfera di influenza’ – vengono viste come reazionarie da parte dell’élite della politica estera occidentale, e forse è giusto così. Ma questo non significa che tutti, specialmente la Cina e la Russia, hanno superato questa fase. Anche gli americani hanno delle reazioni emotive molto diverse rispetto al resto del mondo verso le minacce percepite nel nostro emisfero. Dunque questo è uno scontro culturale tra il globalismo e lo stato nazione da un lato e il nazionalismo e le sfere di influenza dall’altro”. 

Sullivan non giustifica affatto “l’irredentismo nazionalista” di Putin e Xi, da cui entrambi traggono dei chiari vantaggi politici e personali. Tuttavia, nota che l’orgoglio nazionale, così come il risentimento nei confronti dell’occidente, motiva molte delle loro scelte. “Sottovalutare il potere di questo revanscismo nazionalista, sia tra i governanti che tra i governati, è folle. E io temo che, nel caso di Putin, lo abbiamo sottovalutato. Questo significa, come disse una volta Barack Obama, che alla Russia interesserà sempre l’Ucraina molto di più rispetto a noi; e alla Cina interesserà sempre Taiwan molto di più rispetto a noi. In questi casi, l’ultima cosa da fare è promettere un sostegno che non possiamo fornire seriamente. La promessa vaga dell’occidente di non escludere l’adesione alla Nato per l’Ucraina è stata la situazione peggiore: stuzzicare l’orso senza avere alcuna intenzione di combatterlo. Questa settimana Putin ha finalmente svelato il nostro bluff. La domanda è se e quando Xi deciderà di fare lo stesso”.(Traduzione di Gregorio Sorgi)

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