Jean-Paul Belmondo, un esempio di virilità. Con molta ironia

Lontano dalle opposizioni fasulle tra machismo e gender fluid, l’attore francese incarnava semplicemente l’uomo, scrive Causeur

"La morte di Jean-Paul Belmondo ha provocato un mini-terremoto dentro molti di noi, perché ha fatto parte delle nostre vite, e ognuno ha il proprio Bébel” scrive Sophie Bachat. “Fra le numerose litanie lette sui social network, a parte il fatto che a crollare è un altro pezzo della Francia di una volta, e che la mediocrità ci sta inghiottendo sempre di più, emerge quella della sua virilità: “Belmondo, quantomeno, era un vero uomo”.

 

Questa storia della virilità è uno dei problemi della nostra epoca. Gli uomini non hanno più punti di riferimento, e spesso si comportano come delle caricature, o vengono trasformati in caricature. Da un lato abbiamo i destrorsi, che esagerano, talvolta fino a risultare ridicoli, come testimoniano i corsi di seduzione di Alain Soral (scrittore e animatore del sito identitario Égalité et Réconciliation, ndr) o la virilità carnevalesca di Papacito (youtuber vicino all’estrema destra, ndr). Alcuni mi diranno, per quanto riguarda quest’ultimo, che è ironico, ma sono convinta del contrario. (…) E dall’altra parte dello spettro, abbiamo i progressisti, gli uomini che si dicono femministi (i peggiori) e i gender fluid, la cui identità sessuale è incerta. Constatiamo ancora una volta il triste schematismo della nostra società. Belmondo possedeva una forma di virilità che definirei ironica, la metteva a distanza, e, consapevolmente o no, la metteva in discussione. Un po’ come un ragazzino. E’ in questo modo che percepisco il Belmondo degli anni Settanta e Ottanta: un ragazzino che si diverte a fare il ladro, a fare le acrobazie e a  volteggiare sui tetti del metrò. E per questo, inventa delle onomatopee e sceglie le ragazze più belle come partner. Il film in cui Belmondo incarna le due facce, quello in cui la Nouvelle Vague incontra il “cinema di papà” con Jean Gabin, è a mio avviso “Quando torna l’inverno”. Lo scontro tra virilità tranquilla e virilità fanciullesca è probabilmente la chiave della bellezza del film. Belmondo e Gabin cercano assieme di rivivere i bei tempi andati, uno mimando un toreador, l’altro ricordando la sua esperienza di giovane militare in Indocina. E tutto si conclude con i fuochi d’artificio, come a celebrare la fine della festa. I giochi sono finiti! Jean-Louis Murat (compositore francese, ndr) ha dedicato a questo film una canzone magnifica, che racchiude il disincanto che proviamo tutti noi quando quella festa che è la giovinezza finisce. Sia quando viene vissuta in Indocina, sia quando viene vissuta nelle discoteche. “Sono tornato dall’Indocina e ho trovato una vita troppo facile, sciocca da morire”. 

 
Belmondo, forse, è servito a questo: a tirarci fuori, grazie ai suoi film, dalle nostre vite sciocche da morire e dai nostri schemi prestabiliti.

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