Sgt. Jillian G. Hix/U.S. Army via AP

Un Foglio internazionale

L'umiliazione degli americani a Kabul o l'universalismo occidentale alla prova

La sensibilità collettiva degli occidentali tende ad abbandonare l’universalismo per il relativismo, ma restiamo combattuti tra le due idee

La débâcle afghana, dopo tanti anni di guerra e altrettante vite perdute da entrambe le sponde, miliardi ed energie spesi, solleva una serie di questioni sulle ragioni delle nostre battaglie, mette in dubbio la loro legittimità, e in fin dei conti crea diffidenza attorno al nostro universalismo” scrive Chantal Delsol. “Oltre alle varie ragioni strategiche e militari, l’Afghanistan è stato occupato dalle potenze occidentali con un obiettivo di civiltà. Abbiamo diffuso l’idea del diritto all’istruzione delle ragazze e dell’emancipazione delle donne, e agli inizi abbiamo dato il nostro aiuto affinché ciò accadesse. Le nostre convinzioni in materia di diritti dell’uomo sono universali: non si tratta di rispettare la persona occidentale, uomo o donna, ma di rispettare tutti gli esseri umani, a prescindere dalla loro cultura. 

Persuasi che avremmo suscitato il desiderio di assomigliarci e che il nostro modello così invidiabile avrebbe attratto i popoli come il pifferaio magico, abbiamo tentato di applicare il nostro modello universale, qui come in altri paesi, in attesa della concretizzazione di una democrazia afghana. Oggi, mentre alcuni disperati si aggrappano agli aerei per abbandonare il paese, va apparecchiandosi uno stato islamista che, molto probabilmente, farà sposare le bambine, ossia legittimerà la pedofilia, e sottometterà le donne a ciò che noi chiamiamo una schiavitù. Non esiste una negazione dei diritti dell’uomo più insopportabile di questa. Con i nostri discorsi e le nostri azioni iniziali, abbiamo avuto giusto il tempo di invogliare le donne di questo paese, presentando loro delle speranze che oggi si frantumano.

 

Il fallimento afghano non è, e di gran lunga, il primo di questo genere, ma è particolarmente feroce. Per la sua violenza simbolica e concreta, rappresenta forse l’ultimo caso di ingerenza, che annuncia la sconfitta dell’universalismo occidentale. Il cosiddetto ‘diritto di ingerenza’ viene da molto lontano, dalla dottrina cristiana medievale e dell’epoca rinascimentale, e si radica direttamente nell’universalismo cristiano. I pilastri valoriali che difendiamo, secondo noi, valgono per tutti gli esseri umani, e quando vengono gravemente negati, abbiamo il diritto di intervenire nelle terre degli altri per costringerli a cambiare comportamento. Nel corso della nostra storia, i teorici del diritto di ingerenza, come Grotius nel Diciassettesimo secolo, riservano questo diritto ai casi gravi, simboleggiati generalmente dalla dominazione di un tiranno sanguinario. Il regime dei talebani corrisponde a questo caso.


Eppure, da mezzo secolo a questa parte, stiamo dubitando del nostro buon diritto di costringere gli altri ad assomigliarci. Osserviamo numerose resistenze da parte di culture molto diverse che rivendicano ad alta voce il loro diritto all’alterità. E noi stessi non siamo più molto sicuri di avere ragione sempre e in ogni caso. L’indebolimento del cristianesimo ha contribuito all’indebolimento correlativo dell’idea di verità, idea tipicamente occidentale nata con i greci e i giudeo-cristiani. La verità implica allo stesso tempo il dubbio e la certezza, e la certezza alimenta il diritto di ingerenza. Perché la verità o è universale o non lo è, la legge della caduta dei gravi è vera dappertutto e lo stesso vale per i diritti dell’uomo: ho il diritto di imporli agli altri perché convengono a loro tanto quanto a me, anche se questi altri non lo sanno ancora. Era il ragionamento dell’universalismo di ingerenza. La cancellazione del monoteismo cristiano in Europa, o comunque la sua marginalizzazione, ci fa cambiare direzione verso i territori asiatici del pensiero: l’impermanenza di ogni cosa, la fluttuazione, la soggettività, il sincretismo. Da allora, riteniamo la diversità più importante dell’universalità, e il diritto di ingerenza diventa un tema criticabile (…). 


Anche se rinunciamo, d’ora in avanti, alle colonizzazioni missionarie, alle guerre di ingerenza e ad altri interventi che rispondono alla nostra vecchia certezza, abbiamo comunque conservato alcune tracce tenaci di questo universalismo che ci abbandona. I diritti dell’uomo che, dalla scomparsa dei catechismi religiosi, rappresentano il dogma e il catechismo degli occidentali contemporanei, sono ancora considerati universali. I governanti occidentali sono profondamente convinti che le recenti riforme nella società traducano un’esigenza di dignità universale. Siamo dunque al centro di un’incoerenza irrisolta, il ‘wokeismo’ che rappresenta un relativismo culturale sempre più diffuso, e il vecchio universalismo, il suo contrario, in cui continuiamo a credere. Ecco il motivo delle nostre contraddizioni”.

 

(Traduzione di Mauro Zanon)