Il foglio internazionale

Il vero embargo che subisce Cuba è quello della sua dittatura castrista

La cameriera che era un medico  ma guadagnava di più con le mance di una settimana che lavorando un mese in ospedale, scrive il Times

"A Cuba sono abituati agli uragani ma la scorsa domenica c’è stato un terremoto. In migliaia si sono riversati per le strade di molte città e paesi per chiedere un cambiamento”, scrive il commentatore David Aaronovitch sul Times. “Il quotidiano del regime, Granma, naturalmente ha dato la colpa agli Stati Uniti accusandoli di avere finanziato i manifestanti. Ma se non siete riusciti a procurarvi una copia del giornale, potevate sentire la stessa tesi da un ‘esperto’ britannico in diretta sulla Bbc. Questa indulgenza nei confronti dei dittatori è molto diffusa soprattutto a sinistra. Basta pensare che Jeremy Corbyn è un sostenitore del regime cubano, così come Steve Turner, il potenziale prossimo segretario del sindacato Unite”.

Aaronovitch racconta che da giovane era sedotto dal comunismo cubano, che esercitava un fascino di gran lunga superiore rispetto al sistema sovietico. “Questi tipi stavano costruendo una nuova società sotto il sole cubano, con un Kalashnikov in una mano e una caipirinha nell’altra”. Nel 2008 il giornalista si è recato a Cuba per fare un reportage, e si è accorto di quanto fosse malmessa l’economia locale. La colpa, spiega, non va attribuita alle sanzioni americani ma al sistema comunista.

 

“Non si tratta solamente delle infrastrutture fatiscenti e dei servizi pubblici ridotti all’osso (…). Nemmeno della corruzione di tutti i giorni ovvia e pervasiva (…) nemmeno della cameriera che era una dottoressa qualificata ma guadagnava più in una settimana con le mance di quanto non avrebbe potuto guadagnare lavorando un mese in ospedale. Si tratta soprattutto dell’invidia economica come forza sociale e politica. A nessuno era concesso fare troppo bene”. Se non fosse per il comunismo, Cuba potrebbe essere un paese ricco: le risorse di certo non gli mancano, e in più potrebbe essere una delle destinazioni turistiche più ambite al mondo. Per anni il regime ha promesso riforme per sfruttare questo potenziale ma non le ha mai attuate temendo che dare potere al settore privato nella gestione economica significasse rinunciare al proprio potere politico. 

 

Aaronovitch sostiene che la vicinanza di Cuba agli Stati Uniti – l’isola dista solo 299 miglia da Miami – sia una medaglia a due facce. Da un lato l’America è una terra promessa, come ben sanno i cubani che ricevono soldi dai parenti fuggiti in Florida. Dall’altra parte, questa vicinanza geografica è una ragione d’ansia per molti di loro. Cuba potrebbe essere facilmente comprata dagli americani ricchi, e molti cubani temono di scambiare l’equa miseria con la miseria iniqua. “E’ un timore ragionevole”, scrive Aaronovitch. “Sanzionate tutti i funzionari che privano gli altri della propria libertà – conclude il giornalista – e fornite assistenza ai dissidenti come Guillermo Farinas. Tuttavia, alla fine, Cuba può essere incoraggiata, ma non costretta, a cambiare. Questo significa che gli Stati Uniti devono aiutare a reinserire Cuba nell’economia internazionale, che a sua volta significa costruire legami tra i cubani ordinari e le imprese nascenti anziché tagliarli. Patria y Vida, come stanno iniziando a ripetere”.

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