Dan Kitwood/Getty Images/Cancer Research UK 

un foglio internazionale

La manifattura della vita

Non solo aborto. Cattolici e liberal americani di fronte agli sviluppi della ricerca

Ogni lunedì, segnalazioni dalla stampa estera con punti di vista che nessun altro vi farà leggere, a cura di Giulio Meotti


 

"Negli ultimi quattro decenni, gli scienziati hanno seguito la cosiddetta regola dei quattordici giorni, limitando la ricerca sugli embrioni umani alle prime due settimane di vita, prima che venissero fuori alcuni segni di sviluppo, come il principio di un sistema nervoso centrale”. Così inizia l’articolo di Ross Douthat sul New York Times del 22 giugno scorso. La regola era un compromesso etico che andava incontro a un’opinione pubblica titubante; era anche soprattutto un limite teorico, dato che per gran parte del periodo in questione non era possibile tenere in vita l’embrione al di fuori dell’utero. Ma negli ultimi cinque anni questo è diventato possibile, e adesso la regola è stata cancellata. Douthat spiega che alcune recenti scoperte scientifiche potrebbero rendere più facile la ricerca sugli embrioni o su strutture simili. La vecchia regola dei 14 giorni potrebbe cedere il passo a sperimentazioni di massa su forme di vita embrionali. Dinanzi a questa possibilità, Douthat pone una domanda: esiste uno scenario in cui questa deriva verrebbe osteggiata dai politici cattolici del Partito democratico americano? 

  
Questa è una domanda rilevante perché, secondo alcune voci, la Chiesa cattolica americana potrebbe vietare l’eucarestia ai politici cattolici – come il presidente americano Joe Biden – che sono favorevoli o votano per finanziare l’aborto. Questa è la giustificazione: ci sono molti temi su cui democratici e repubblicani la pensano diversamente dalla Chiesa, ma l’aborto è un argomento a se stante. Il cattolicesimo ritiene che l’aborto sia l’uccisione intenzionale di un essere umano, e dunque un tema ben diverso dagli altri. Il regime legale voluto dai democratici, spiega Douthat, ha consentito decine di milioni di aborti; nessun taglio dei repubblicani alla spesa sanitaria o all’istruzione, e nemmeno il loro sostegno alla pena di morte, ha avuto degli effetti paragonabili all’aborto. Secondo il giornalista vietare la comunione ai democratici che hanno avuto un ruolo in questo processo è un atto sia politico che pastorale. E’ politico perché, così facendo, la Chiesa ribadisce di prendere sul serio il tema dell’aborto, al punto da usare le poche misure disciplinari a propria disposizione. Ed è pastorale perché, secondo la Chiesa, i politici in questione hanno commesso un peccato grave e pubblico, e dunque non hanno diritto alla comunione. 

 

Tuttavia, Douthat ritiene che questa logica apparentemente semplice – che risulterebbe nel divieto del presidente americano di ricevere la comunione – è potenzialmente molto pericolosa per il clero statunitense. Innanzitutto, i vescovi americani sarebbero liberi di ignorare l’indicazione della Conferenza episcopale e continuare a offrire l’eucaristia a Biden. Dunque il pericolo è che il presidente continui ad andare a messa e ricevere la comunione da un prete amico, danneggiando ulteriormente la reputazione di un clero già debole e compromesso dagli scandali. 

 
Questo ci porta al secondo problema, ovvero che questo divieto verrebbe interpretato come un gesto di parte, proprio nel momento in cui le prese di posizione in senso conservatore delle denominazioni cristiane, protestanti e cattoliche si stanno rivelando un serio problema. Douthat scrive che “con questo intendo dire che, per quanto sia ragionevole l’enfasi dei vescovi sull’aborto come tema dominante, in un paese polarizzato questo ha creato una situazione in cui ai repubblicani vengono perdonati degli atti e delle politiche non cattoliche o delle semplici menzogne – molte delle quali sono state raccontate durante l’amministrazione di Donald Trump, che era piena di cattolici – perché i democratici sono a favore dell’aborto. Questo, di conseguenza, fa apparire una Chiesa antiabortista complice dei mali della destra – dal trattamento dei bambini immigrati, agli indulti per i soldati accusati di crimini di guerra, ai mesi di menzogne sulle elezioni del 2020 – minandone la credibilità agli occhi dei tanti cattolici che comprensibilmente non hanno votato per Trump”. 

 
Questa ipotesi, assume Douthat, è popolare nel cerchio di Papa Francesco a Roma e ritiene che “l’autorità della Chiesa debba essere ricostruita prima di essere usata” e che il rinnovamento della fede religiosa e della credibilità pastorale debba avvenire in parallelo. Ma ciò che rende questa strategia impraticabile sono i politici cattolici democratici stessi, che anziché mantenere una posizione moderatamente filo abortista si sono adeguati alla deriva radicale dell’universo liberal su vari temi bioetici come l’aborto, l’eutanasia e il suicidio assistito.

 

A questo punto, Douthat torna sulla regola dei quattordici giorni, e avverte che la radicalizzazione dei liberal sta avvenendo in un’epoca in cui la capacità della scienza di creare la vita umana sta aumentando rapidamente. Il dibattito su come proteggere la vita dei nascituri diventerà sempre più una questione scientifica. “Quindi ritorno alla mia domanda iniziale – conclude Douthat – ci sono prove che i politici cattolici di sinistra, la  generazione successiva a Joe Biden, si opporranno fermamente a queste tendenze incombenti, che vanno ben oltre l’aborto? Penso che la risposta sia no. (…)   La Chiesa ha tante buone ragioni per evitare un confronto politico sulla comunione e l’aborto ora; ci sono tante ragioni per aspettarsi che questo tentativo gli si ritorca contro o fallisca. Ma se le prossime generazioni si ritrovassero un mondo in cui il liberalismo dei cattolici politici richiedesse loro di affrancare non solo l’aborto ma un mondo nuovo in cui la vita umana viene manifatturata, vivisezionata ed eliminata con noncuranza – beh, allora i vescovi di domani potrebbe ripensare a oggi e rimpiangere di non avere trovato un modo per dire ‘basta’”.

 

(Traduzione di Gregorio Sorgi)