il foglio internazionale

La globalizzazione non è finita

La sua morte annunciata è fortemente esagerata, scrive lo storico Harold James

Ogni lunedì, segnalazioni dalla stampa estera con punti di vista che nessun altro vi farà leggere, a cura di Giulio Meotti


 

L’idea che il libero commercio e la globalizzazione possano fare un ritorno nei prossimi dieci anni, ritrovando vigore dopo la pandemia, potrebbe sembrare forzata - scrive lo storico Harold James sulla rivista Foreign Affairs - Dopo tutto, il Covid-19 sta frammentando il mondo, distruggendo il multilateralismo e disgregando le catene di valore internazionali. Sembra che il virus stia completando il lavoro della crisi finanziaria del 2008: la grande recessione ha aumentato il protezionismo, indotto i governi a mettere in dubbio la globalizzazione, aumentato l’ostilità verso l’immigrazione e, per la prima volta in quarant’anni, ha dato vita a un periodo in cui il commercio globale è cresciuto più lentamente rispetto alla produzione globale. Tuttavia, anche allora non c’è stata un completo capovolgimento o una deglobalizzazione; piuttosto, c’è stato un rallentamento incerto e balbettante. Al contrario, il nazionalismo vaccinale ha alimentato il conflitto tra Cina, Russia e Stati Uniti, e fatto crescere le tensioni all’interno dell’Unione europea. E’ fin troppo facile prevedere che la globalizzazione scompaia in una nebbia virale”.

 

 

James ripercorre la storia degli scambi globali, che “segue dei cicli: periodi di integrazione crescente vengono seguiti da shock, crisi e contraccolpi distruttivi”. Uno di questi è stata la grande depressione, che ha creato le condizioni per la seconda guerra mondiale. Tuttavia, la storia dimostra che le crisi internazionali tendono a produrre più globalizzazione, anziché meno. “Ad esempio, la globalizzazione moderna è stata in principio una risposta alle catastrofi sociali e finanziarie del decennio che ha avuto inizio nel 1840. L’ondata più recente della globalizzazione è avvenuta in seguito alla crisi economica degli anni Settanta. In entrambi i casi, gli shock hanno creato le fondamenta per nuove connessioni e soluzioni internazionali, e il volume del commercio globale è aumentato drammaticamente. La verità è che le rotture storiche spesso creano e accelerano nuovi collegamenti globali. Il Covid-19 non sarà un’eccezione. Dopo la pandemia, la globalizzazione tornerà prepotentemente”.

 

 

Gli storici identificano la prima metà dell’Ottocento come l’inizio dell’era della globalizzazione, e vedono la crisi economica di quegli anni come una delle cause dell’aumento del commercio internazionale. Il governo britannico reagì alla carestia in Irlanda importando il grano al di fuori dell’Europa. Gli eventi degli anni Quaranta dell’Ottocento hanno anche coinciso con un periodo di profonde trasformazioni istituzionali, che hanno portato alla disgregazione degli imperi e alla nascita degli stati nazioni, e aumentato la competenza aziendale. Il risultato, spiega James, è stato un passaggio psicologico dal catastrofismo all’ottimismo. Questo nuovo sentimento ha innescato la prima ondata della globalizzazione - la cosiddetta epoca d’oro, in cui il commercio internazionale e la finanza sono fiorite. Questa fase è terminata con lo scoppio della grande guerra, l’ascesa del fascismo e l’avvento della seconda guerra mondiale. Il 1848 ha scatenato delle rivoluzioni nazionaliste, e delle sommosse popolari in Francia, Italia e nell’Europa centrale. Ma lo shock economico che ha avuto inizio nel 1840 non è stato un intralcio al processo di integrazione globale. Al contrario, il commercio è cresciuto, i governi hanno ridotti i dazi, la mobilità dei capitali è aumentata e i cittadini si sono spostati da un continente all’altro. La migrazione non è stata solo una risposta alla miseria politica e sociale, bensì la conseguenza della promessa di una nuova prosperità.

 

 

Paradossalmente, anche la crisi del petrolio degli anni Settanta ha creato più globalizzazione. La lezione è stata la stessa del 1840: l’apertura crea resilienza, e di conseguenza il commercio internazionale è aumentato a dismisura. In quegli stessi anni, è entrato in crisi il dogma keynesiano secondo cui l’inflazione è la cura universale ai mali dell’economia. Un tasso alto di inflazione può servire a stabilizzare le società nel breve termine ma, col passare del tempo, diventa una minaccia. In quegli anni sono stati creati nuovi organi e istituzioni per garantire stabilità e mantenere un tasso di inflazione basso. Viste le difficoltà nella gestione della crisi del Covid-19, sarebbe fin troppo facile pensare che i governi e i cittadini daranno priorità al nazionalismo per essere più auto sufficienti in vista della prossima pandemia. Ma questo difficilmente accadrà. Al contrario, la gente cercherà di imparare dai paesi stranieri che hanno gestito meglio la pandemia. La riglobalizzazione verrà spinta dalle forze storiche di sempre. La tecnologia sta trasformando il pianeta, proprio come era successo nel 1840 e nel 1970. 

 

 

Settant’anni fa, lo stimolo venne dato dai piroscafi, i cavi sottomarini e le ferrovie. Negli ultimi venticinque anni sono stati i computer. Al giorno d’oggi, i dati hanno la stessa funzione: connettono il mondo e offrono soluzioni ai problemi più incombenti, inclusa l’incompetenza dei politici. Nuovi tipi di informazioni possono aiutare i capi di governo ad aggredire le diseguaglianze che sono state esacerbate dalla pandemia. Una maggiore automazione, spiega James, potrebbe consentire alle macchine di ricoprire le mansioni ripetitive e pericolose che oggi vengono eseguite dai lavoratori a basso reddito. Come è avvenuto nelle crisi passate, anche stavolta c’è una grande domanda di prodotti affidabili e a basso costo, come i materiali sanitari, i chip e i minerali rari. “Per essere resilienti in caso di nuove emergenze, queste comodità devono essere prodotte e commerciate internazionalmente, da un gran numero di fornitori - conclude James - Proprio come nel 1840, anche oggi l’isolazionismo comporta una mancata opportunità di imparare da esprimenti diversi. Nessun paese ha creato il vaccino anti Covid da solo - il successo è stato frutto della collaborazione internazionale”.