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Lo scandalo Oxfam e il doppio pregiudizio sulle ong

Adriano Sofri

L'ispirazione umanitaria non è una minaccia, basta che non insegua la santità

Lo scandalo “sessuale” di Oxfam è insieme ovvio e sconvolgente. E’ sconvolgente che persone e organizzazioni che vanno per il mondo ad aiutare il prossimo fra guerre, epidemie, carestie, si mostrino mediocri o peggio, meschine e profittatrici. Ed è ovvio che – alcune, non molte, credo – lo facciano, perché andare nel mondo delle guerre delle malattie e della fame con un biglietto di ritorno e la boccetta di disinfettante in tasca dà un’ubriacante sensazione di onnipotenza e di privilegio dovuto. Oxfam è una grandissima confederazione di ong, l’ho incontrata qua e là, da ultimo in Kurdistan dove suoi associati svolgono un’attività preziosa. Staremo a vedere, ricordando che nei confronti dell’attività “umanitaria” internazionale agisce un duplice pregiudizio, favorevole e contrario.

 

Scandali orrendi hanno segnato più volte l’operato di forze internazionali dell’Onu, aggravati da un’omertà “superiore”, specialmente in Africa e in Asia, non di rado abusando di minori, e sempre di donne. E’ pressoché inevitabile il paragone con gli scandali che attraversano la vita delle chiese cristiane e la lunga complicità che li ha coperti. Nelle situazioni ora (ma già da tempo) addebitate a Oxfam e altre associazioni, compresa Save the Children, c’è un dettaglio da considerare: vi si parla soprattutto di rapporti sessuali – di “orge”, anche, termine vago – con “prostitute” locali, in situazioni di spaventosa emergenza, come nella Haiti del terremoto e del colera. Mi chiedo se le “prostitute” non siano state rese tali nella circostanza, per così dire come un effetto laterale dell’assistenza. Sesso in cambio di cibo, si chiamò la cosa al tempo delle truppe Onu in Congo e altrove in Africa. Abusi di potere, di privilegio, sono a volte criminali, altre “solo” spregevoli e infamanti: risarcimenti pretesi alla propria generosità di coraggiosi missionari dal mondo ricco e illeso.

 

Ma anche dove gli abusi non ci siano c’è un problema che chiunque conosce, lo riconosca o no.

 

L’ho ritrovato poco fa al centro del libro di Roberto Calasso, L’innominabile attuale. Qua è riassunto come il binomio turismo-pornografia. “Se non viaggia per affari, e se non è un migrante, Homo saecularis non può che essere classificato, ai passaggi di frontiera, come turista. E questo lo disturba. Ama guardare, e anche deprecare, i turisti… Per Homo saecularis l’ultimo rifugio è sentirsi qualcosa di speciale”. So di che cosa si tratta: al di là dei supposti ultimi angoli esotici o delle escursioni estreme, questa “specialità” viene accordata dalla professione o dal volontariato “umanitario”, giornalismo compreso. Si trova l’esclusività soprattutto nelle guerre. I vantaggi: turismo estremo ma senza l’imbarazzo della fatuità; tariffe bassissime; piacere dell’altruismo. Intelligenza ravvicinata, essenziale e superiore delle cose, e vanità altrettanto superiore. In questo il volontariato più povero o semplicemente privato eclissa l’agenzia umanitaria importante e l’Onu soprattutto, che non si crede turistica ma emula volentieri il turismo di prima classe. Il volontario a sue spese, per così dire, con una sua peculiare tensione morale, si guadagna un lusso invidiabile: non sta nell’albergo degli inviati (il quale può anche essere l’Holiday Inn di Sarajevo, lume di candele e un intero lato sventrato dalle granate e crivellato dai cecchini, ma con la colazione mattutina di burro e confetture e miele personali) né nel compound murato e presidiato dei funzionari Onu, ma in una casa, coi vicini, la spesa al bazar e nessuna scorta – e un ripudio fisico e morale del giubbotto antiproiettile. Diventa uno del posto, un assediato, con le differenze che si riducono giorno dietro giorno – dopo quanto tempo ci si dice che è ora di farsi cucire il costume curdo? – con un limite insuperabile: il passaporto e il biglietto di ritorno in tasca.

 

“La convergenza delle culture verso l’unità – scrive Calasso – si verifica nel turismo e nella pornografia. Sono mondi paralleli…”. Il turismo sessuale è cosa famigliare ed è insieme ovvio e sconvolgente che si insinui dentro l’intervento umanitario, magari con l’alibi del coraggio: un losco turismo sessuale a rischio della vita. Intanto però la pornografia è diventata sempre più il turismo sessuale dei poveri, dei popoli senza libertà e senza visto d’uscita. Questo è un lato della cosa, non va ignorato, né da chi chiede a Oxfam il conto salato delle sue attività né da chi fa i conti frugali con se stesso. Ora i commentatori si chiedono se Oxfam non debba dissolversi, e la chiesa cattolica e quella anglicana anche. Alla fine, l’ispirazione umanitaria non è però la minaccia che incombe sull’umanità contemporanea, è la sua risorsa, solo che si tagli le unghie e il narcisismo, non insegua la santità e non mandi tutto a puttane.

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