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"#MeToo ricorda le purghe di Stalin". L'affondo di Margaret Atwood

Giulio Meotti

Le parole della scrittrice canadese su molestie e abusi di potere pubblicate sul Boston Globe che hanno colto di sorpresa le paladine femministe  

Roma. Di femminismo e abusi di potere, Margaret Atwood se ne intende. La più grande scrittrice canadese vivente è l’autrice di “Handmaid’s Tale”, romanzo distopico su un futuro in cui le donne fertili sono assegnate come schiave sessuali ai “Comandanti”, che le stuprano una volta al mese per ripopolare il pianeta, reso sterile dai rifiuti tossici. Da questo romanzo è stata tratta anche una fortunata serie tv premiata agli Emmy, copione ideale in epoca trumpiana. Per questo le paladine del movimento #MeToo contro le molestie non si aspettavano certo la column che Margaret Atwood ha pubblicato sabato sul Boston Globe.

   

“Sembra che io sia una ‘cattiva femminista’. Posso aggiungere questo alle altre cose di cui sono stata accusata dal 1972, come scalare la fama su una piramide di teste di uomini decapitati, essere una dominatrice incline alla sottomissione degli uomini e di essere una persona orribile che può annientare - con i suoi poteri magici di strega bianca - chiunque ne sia critico alle cene a Toronto. Sono così spaventosa!”. Atwood aveva già apposto la propria firma a un appello che chiedeva un trattamento fair per lo scrittore canadese Steven Galloway, accusato di molestie e dato in pasto ad accademici, media e femministe.

   

L’articolo di Atwood per il Globe è la versione anglosassone del manifesto sul Monde di Catherine Deneuve e altre femministe francesi a difesa della “libertà di importunarci” e contro il “puritanesimo” (col parziale mea culpa da parte della Deneuve). Facendo riferimento alle attrici che hanno denunciato le aggressioni del produttore Harvey Weinstein, la scrittrice di 78 anni Atwood parla di “stelle cadute dal cielo”, che suona come un severo rimprovero. Atwood accosta l’attuale clima di #MeToo ai processi per stregoneria di Salem, “in cui una persona era colpevole perché accusata” e alle rivoluzioni nelle fasi di “terrore e virtù”, come la Rivoluzione francese, le purghe di Stalin in Urss, le Guardie rosse in Cina, il regno dei generali in Argentina e gli inizi della Rivoluzione iraniana”. Queste cose, scrive Margaret Atwood, “sono sempre fatte nel senso di inaugurare un mondo migliore. A volte sono usate come scusa per nuove forme di oppressione”. Margaret Atwood si è poi dovuta difendere dalle accuse dopo la pubblicazione dell’articolo che ha attirato aspre critiche da parte di molti osservatori, irritati da quello che vedevano come un tradimento dei valori femministi da parte di una autrice che ha messo in discussione le strutture di potere che soggiogano le donne. Alcuni dei fan di Atwood hanno detto di essere stati sconvolti dalla sua descrizione di #MeToo come di una pericolosa “caccia alle streghe”. E dall’elogio di Atwood dell’articolo di Andrew Sullivan per il New York Magazine, in cui il giornalista americano paragona alcune delle tattiche del movimento #MeToo al maccartismo. “L’atto di divulgare in modo anonimo gravi accuse sul sesso delle persone come un mezzo per distruggere le loro carriere ormai da tempo ha un nome semplice, si chiama maccartismo” scrive Sullivan. “Credono di combattere un male insidioso e onnipresente - il patriarcato - proprio come gli estremisti anticomunisti credevano che i compagni fossero ovunque e così sporchi da non meritare presunzione di innocenza”.

  

C’è chi paragona Atwood a quelle donne che, nel villaggio utopico e totalitario del suo romanzo-cult, aiutano gli uomini a dominare le donne strumentalizzando il sesso per privilegiare una maternità brutale e coatta. Nell’articolo, Atwood parla di una “giustizia da vigilantes” e di un “linciaggio di massa culturalmente solidificato”. Anche Cosa nostra, avverte Atwood, “iniziò come una resistenza alla tirannia politica”. “Se il sistema legale viene aggirato perché considerato inefficiente, cosa prenderà il suo posto? Non le cattive femministe come me. In tempi estremi, gli estremisti vincono. La loro ideologia diventa una religione, chiunque non riesca a interpretare le loro opinioni è visto come un apostata, un eretico o un traditore, e i moderati sono annientati. Lo scopo dell’ideologia è eliminare l’ambiguità”. E con essa il reprobo.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.