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Indagine su Ciudadanos, che vuole portare il macronismo in Spagna

Eugenio Cau

Il giovane leader Albert Rivera è in testa ai sondaggi spagnoli. Merito della Catalogna e di buone photo opportunity

Roma. Le frequentazioni spagnole di Matteo Renzi sono la dimostrazione plastica di come in pochissimi anni è cambiata la politica nel paese iberico – e di conseguenza in Europa. Soltanto pochi anni fa, nel 2014, Renzi e il francese Manuel Valls condividevano un palco a Bologna con Pedro Sánchez, leader del Partito socialista spagnolo e collega del Partito socialista europeo. In questi anni Sánchez ha perso e riacquistato la leadership, ma nel passaggio non è riuscito a mantenere la chiarezza di idee liberali e progressiste. Il leader socialista oggi trascorre il suo tempo a rincorrere a sinistra i populisti di Podemos (da ultimo con una proposta di riforma pensionistica che affonderebbe senza speranze la ripresa spagnola), è diventato un po’ populista lui stesso, e così, questa settimana a Roma, Renzi gli preferito un altro leader: Albert Rivera di Ciudadanos. Questa volta Valls non c’era (lui, al contrario di Sánchez, è rimasto saldo nelle idee liberali ma ha perso ogni incarico), ma ad aleggiare sull’incontro c’era comunque un altro francese: Emmanuel Macron, leader di En Marche! e presidente di Francia, l’uomo che è riuscito nell’impresa di riunire gli spiriti ragionevoli di destra e sinistra e di vincere con un programma riformista e pro Europa, senza cedimenti populisti. E’ il sogno del giovane Rivera, che non a caso si riempie la bocca del nome di Macron in ogni intervento pubblico e in ogni dichiarazione e cerca di associarsi alla sua figura tutte le volte che può. Macron, Renzi il canadese Trudeau: il pantheon di Rivera è la rappresentazione di una nuova classe politica che in Europa e in occidente vuole governare con più riforme e meno ideologie, superando la divisione tradizionale tra destra e sinistra – e il sogno del leader di Ciudadanos sembra raggiungibile in questi giorni più che mai, ora che i sondaggi danno la formazione centrista come primo partito di Spagna.

 

Il partito si è trasformato da una formazione con tentazioni antisistema a una forza d'establishment e, se possibile, anche di governo. La crisi a Barcellona ha aiutato Ciudadanos nei sondaggi, ma il sistema politico spagnolo rende quasi impossibile una "operazione Macron".

A livello europeo, l’emergere di una forza come quella prospettata in Spagna da Rivera sarebbe importante, specie in questi giorni in cui si guarda a Madrid con preoccupazione. La ripresa economica va fortissimo ma non è completa, ed è in un certo senso intralciata dall’instabilità politica. Il primo ministro del Partito popolare, Mariano Rajoy, governa in minoranza (con il sostegno di Ciudadanos) ma non ha i numeri per fare le riforme che sarebbero necessarie. Soprattutto, la crisi catalana – ancora non risolta – ha messo i leader europei davanti alla minaccia che l’Unione possa spezzarsi ancora, in maniera più violenta di quanto sta succedendo con la Brexit. E’ proprio dalla crisi catalana che Rivera è emerso come un leader trasversale. Il suo partito ha mantenuto una politica ferma (anche molto dura in alcuni casi) a favore dell’unità nazionale, e ha avuto il beneficio di poter dire: “Viva la Spagna!” senza l’onere di dover applicare le misure repressive che tante critiche internazionali e non solo hanno attirato su Rajoy. Ciutadans, branca catalana di Ciudadanos (sarebbe meglio dire: versione originale, visto che il partito nasce in Catalogna) è emerso come prima forza politica alle elezioni locali dello scorso dicembre, pur mancando la maggioranza, e da lì il passaggio in testa ai sondaggi a livello nazionale è stato facile.

 

E’ dunque possibile che al giovane Rivera riesca una “operazione Macron” anche in Spagna? Juan Ramón Rallo, fondatore del think tank liberale Juan de Mariana, professore universitario e commentatore politico, dice al Foglio che c’è anzitutto un ostacolo di tipo strutturale: “Il sistema elettorale francese ha consentito a Macron di concentrare tutto il voto utile contro il lepenismo al secondo turno. Questo non è possibile in Spagna, dove il sistema elettorale non consente un forte raggruppamento dei voti e dove non c’è un nemico così forte contro cui riunirsi. Oggi in Spagna ci sono quattro partiti forti e sostanzialmente equivalenti in termini di voti: l’unica via per il governo è quella dei patti e degli accordi”.

 

Ma Rivera sta facendo tutto il necessario per cercare di superare le barriere strutturali. “Ciudadanos ha subìto un’evoluzione ideologica e politica importante per smettere di essere considerato come un prodotto dell’antipolitica e diventare un vero partito di governo”, ci spiega Jorge del Palacio, professore di Scienza politica all’Università Rey Juan Carlos di Madrid. “Ciudadanos è nato da una piattaforma di intellettuali catalani di centrosinistra che negli anni Duemila si sono staccati dal Partito socialista perché troppo vicino ai movimenti nazionalisti che chiedevano l’indipendenza della Catalogna”, spiega del Palacio. Il partito è nato ufficialmente nel 2006 con a capo Rivera, ma ha trascorso lunghi anni all’ombra della politica locale catalana prima di diventare un fenomeno nazionale dopo le elezioni europee del 2014. Er ail periodo della crisi del bipartitismo spagnolo, e Rivera cavalcò con successo il sentimento antipolitico, presentando Ciudadanos come un partito fresco che avrebbe spazzato via la vecchia classe politica corrotta. Per anni – e nonostante le sue origini – si è parlato di Ciudadanos come del “Podemos di destra”, prodotto uguale e contrario dello stesso male populista.

 

“Tra il 2014 e il 2015, il discorso pubblico di Albert Rivera si basava sulla distinzione tra vieja política e nueva politica, oggi invece di questi distinguo non è rimasta traccia, dice del Palacio, come a dire: negli ultimi due-tre anni, Ciudadanos si è mondato di ogni scoria antipolitica e antisistema e ha cercato in ogni modo di presentarsi definitivamente come partito di governo. L’ultima mutazione è avvenuta lo scorso febbraio, quando i ciudadani a congresso hanno deciso di cambiare il riferimento politico del loro statuto: dal “socialismo democratico”, rimanenza del passato, a “liberalismo progressista”, che è un po’ come iniziare a sbracciarsi e urlare: “Ehi guardateci, siamo macroniani anche noi!”.

 

Ciudadanos, un partito d’establishment

La vera evoluzione di Ciudadanos è avvenuta durante il doppio turno elettorale del 2015-2016 (promemoria: in Spagna all’ultima tornata elettorale si è votato due volte, la prima nel dicembre 2015 e poi, quando si è visto che la situazione era in stallo completo, di nuovo nel giugno 2016; quest’ultima elezione ha portato all’attuale governo Rajoy). Ciudadanos aveva iniziato a metà 2015 la campagna elettorale come partito antisistema e si è trovato giusto un anno dopo, a metà 2016, a fare la parte dell’alfiere della governabilità, con Rivera a lanciare appelli in favore della stabilità e la decisione, in parte sofferta, di sostenere dall’esterno il governo di centrodestra di Rajoy. Questa decisione ha sancito il passaggio di Ciudadanos alla qualifica di partito di governo. La crisi catalana, con la performance chiaroscurata di Rajoy davanti alla minaccia del separatismo – specie se posta a confronto con la purezza ideologica unionista espressa in quei giorni da Rivera, il quale, però, non condivideva le responsabilità del primo ministro – ha fatto il resto.

 

Ciudadanos non si presenta solo come un partito di governo: si presenta come un partito di cui l’establishment si può fidare. La storia è vecchia, e risale agli esordi di Ciudadanos sulla scena politica nazionale, quando il partito di Rivera veniva chiamato “il partito dell’Ibex”, vale a dire il partito che l’alta finanza (l’Ibex 35 è l’indice principale della Borsa di Madrid) aveva scelto da opporre a Podemos. Alcuni podemiti arrivarono a insinuare che Ciudadanos fosse un partito ingegnerizzato a tavolino dai banchieri capitalisti. Non era vero, e anche i banchieri per lungo tempo hanno continuato a votare il Pp di Rajoy. Ma le cose stanno cambiando, e parte della classe imprenditoriale spagnola inizia a esprimere le sue preferenze per il giovane Rivera.

 

Ma questo non significa che l’“operazione Macron” in Spagna sarà facile, né forse possibile. “La possibilità che Ciudadanos possa trasformarsi in un partito maggioritario che ‘vince dal centro’ è lontana”, dice Juan Ramón Rallo. “Rivera può concentrare il voto moderato preoccupato dai casi di corruzione del Partito popolare, e può perfino attirare a sé i delusi da Podemos, quelli che votavano gli antisistema sperando nel cambiamento e sono stati frustrati. Insomma, ha ottime carte per agglutinare forze da destra e da sinistra, ma il sistema politico spagnolo rende i giochi delle coalizioni molto fluidi. In teoria, le coalizioni naturali sarebbero Pp-Ciudadanos e Socialisti-Podemos, ma Rivera potrebbe sempre essere messo fuori dai giochi da una Grande coalizione tra popolari e socialisti”.

 

“Ciudadanos spesso è più forte nei sondaggi che nel voto effettivo”, dice del Palacio. “Il partito è forte nei centri urbani, ma non è diffuso in maniera capillare sul territorio, manca di struttura”. Questo era vero anche di En Marche!, ma il sistema spagnolo, appunto, è più arcigno, il radicamento sul territorio, per esempio dei “baroni” socialisti in regioni come l’Andalusia, ha ancora una forza difficile da scardinare. Per ora, Rivera deve accontentarsi delle photo opportunity e degli elogi dell’élite liberal progressista d’Europa.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.