Papa Francesco (foto LaPresse)

Lo stato non è il buon samaritano

Le Figaro intervista Rémi Brague sui migranti, il Papa e la coscienza cristiana 

Reagendo alle osservazioni del Papa sui migranti, il filosofo Rémi Brague rivisita il dilemma dei cristiani di fronte all’immigrazione tra il dovere della carità universale e l’attaccamento allo stato-nazione. Specialista della filosofia medievale, araba e ebraica, Brague è professore emerito dell’Università Panthéon-Sorbonne. “Accogliere è una parola molto vaga”, dice al Figaro. “Nasconde una serie di difficoltà molto concrete. Salvare dall’annegamento è bene, ma questo è solo l’inizio. Dobbiamo chiederci cosa li ha portati a intraprendere quel viaggio. Quindi il Papa ha detto molte cose sensibili, ad esempio che l’occidente aveva contribuito a destabilizzare il medio oriente. O che i migranti vedono l’Europa come un paradiso che non è. Ci sono anche problemi molto pratici: possono essere assimilati i nuovi arrivati? Lo stato ha il dovere di assicurare il rispetto reciproco. Nel tempo di Benedetto XVI il problema non era ancora così acuto e non so se avrebbe pensato di pronunciarsi, per non parlare di quello che avrebbe detto. In generale, la differenza con Francesco nella formazione e nello stile è sufficientemente evidente”.

  

Si chiede a Brague se ritenga che il Papa capisca l’ansia dell’identità degli europei. “Quello che è certo è che ha una sensibilità latino-americana, che non lo aiuta a capire gli europei. Nella sua Argentina, l’immigrazione era soprattutto di italiani, con identica religione e lingua simile a quella degli spagnoli che erano già lì. Qui è proprio il contrario”. E’ necessario applicare qui la parabola del buon samaritano? “Le parabole non devono essere lette ingenuamente. Una parabola è rivolta a ‘me’. Mi invita a riflettere sulla mia persona singolare, su quello che sono. Uno stato non è una persona. Ora, ci sono cose che sono accessibili solo alle persone. Per esempio, perdonare i reati. Uno stato non solo non ha la capacità di farlo, ma non ha il diritto di farlo. Lo stato deve limitarsi a fornire un quadro giuridico e questo può arrivare fino a limitare l’accoglioenza se una presenza troppo grande e mal preparata di nuovi arrivati mette in pericolo il paese ospitante”.

Di più su questi argomenti: