Theaster Gates al Prada Mode London nel 2019 (Tim P. Whitby/Getty Images for Prada) 

Il Foglio Arte

Dove tutto è cominciato e può essere ricostruito

Piero Golia

Generoso come tutta la sua arte, Theaster Gates ci ha aperto le porte della South Side di Chicago che ha fatto rinascere. L’energia della memoria per progetti vivi

Forte della seconda dose del vaccino, mi imbarco per il primo viaggio dopo più di un anno di forzato sedentarismo: si va a Chicago. Normalmente per un breve soggiorno di due giorni non avrei nemmeno pensato ai bagagli, ma considerata la lunga pausa, mi preparo come se stessi partendo per una grande avventura.


A Chicago non ci sono mai stato, ma ho alcuni amici che mi hanno promesso di svelarmi la città. Con la speranza di incontrarlo, scrivo a Theaster Gates. Ci conoscemmo qualche anno fa a Dallas, ricordo che mi aspettavo un uomo duro e spigoloso ed invece scoprii una persona elegante e affettuosa. L’ultima volta ci siamo incontrati proprio a Roma, dove risiedeva all’Accademia americana tra un viaggio in Asia ed uno negli Stati Uniti. Certo, perché da quando la sua carriera è esplosa, Theaster non si ferma più. Una e-mail di risposta automatica che mi rimanda ad una serie di assistenti mi fa capire quanto sia impegnato, per cui la mia speranza diminuisce. Me lo dovevo aspettare. 

 

 

Giunto all’aeroporto, trovo i miei amici che dicono che Theaster, il quale, evidentemente, nonostante la risposta automatica, le sue e-mail le legge molto attentamente, è già al ristorante che ci aspetta per cena. 


Seduto a un tavolo nell’angolo in una sala elegante, ci aspetta Theaster. E così, mentre ordina da esperto ogni specialità del menu, comincia il mio viaggio nel suo mondo. Chiunque mi conosce sa che io sono uno di quelli che non smette mai di parlare, eppure quando trovo un narratore con una storia fantastica, ne riconosco i meriti, e finalmente taccio e ascolto, perché la storia che lui ha da raccontare è fantastica. Infatti, la sua Rebuild Foundation, un’organizzazione senza scopo di lucro dedicata alla trasformazione di edifici e quartieri nel South Side di Chicago, negli ultimi dieci anni ha fatto cose incredibili, dimostrando che l’arte accoppiata con una visione imprenditoriale può sul serio trasformare e rivitalizzare un pezzo di una città altrimenti all’abbandono.

 

Per quanto questo possa sembrare uno strano approccio per un artista, conviene ricordare che Theaster utilizza elementi di differente provenienza, come la musica, la ceramica, il catrame e le reliquie dello sviluppo immobiliare per narrare le sue storie. Il suo approccio si nutre della cultura vernacolare e urbana, della tradizione intellettuale diasporica nera, del suo vorace appetito per le idee e della sua storia personale, rivendicando e recuperando una marea di oggetti, testi, collezioni, elementi architettonici e veri e propri edifici e con essi è riuscito a costruire una storia unica fatta di elementi irripetibili intrisi di memorie. Le sue storie sono popolate da personaggi che lo hanno accompagnato in questo lungo viaggio, e per ogni persona che lui ha conosciuto, senti una specie di contatto personale, come se tutte le memorie siano continuamente presenti in lui.

 

 

Mentre la cena si accinge al termine, muoio dalla curiosità di vedere quello di cui ho sentito parlare: per cui provo ad auto-invitarci con la scusa di un drink al suo studio, una volta all’interno, il passo è breve. Ma proprio mentre penso di avercela fatta, ecco che si presenta lo chef del ristorante e gentilmente si porta via Theaster dicendo che devono discutere di affari. Perché Theaster usa la sua fortuna per sostenere la nascita di nuovi business nel quartiere. Rasserenato dalla mia stanchezza e dal fuso orario, lo saluto e penso che la mia avventura sia finita qui, quasi prima di cominciare. Tornato in albergo, invece, mi arriva una e-mail che mi convoca la mattina dopo al suo studio, ovviamente nel South Side. Il viaggio da nord a sud è come un percorso inverso allo sviluppo economico, dai grattacieli di Mies Van Der Rohe si passa ad una serie di case e palazzi abbandonati. Capisco allora che è proprio questo quartiere, abbandonato quando l’industria manifatturiera era crollata, ciò di cui Theaster cerca di riappropriarsi e di rianimare.

 

L’autista di Uber prima di scendere, proprio come fossimo a Napoli o a Palermo, mi avvisa di stare attento. Ma attraverso la grande vetrata di uno di edificio di mattoni rossi, che a differenza degli altri sembra ripristinato (ma non “ristrutturato”, conservandone il carattere originale), vedo Theaster che ci attende. Siamo nel posto giusto.


Ci troviamo nel suo primo edificio, dove, lui dice “tutto è cominciato”. Ed attraversando una porta a vetri ci ritroviamo nella famosa Johnson Publishing Library, l’archivio completo di Jet e Ebony, le due grandi riviste  che narravano la vita dei Neri d’America, a cui negli anni si sono aggiunti i libri provenienti dal Prairie Avenue Bookshop, una delle biblioteche di architettura più importanti al mondo, chiusa nel 2009 e infine la collezione complete di dischi e cd di Dr. Wax, storico negozio di dischi chiuso nel 2010.

 

 Oggi, questo edificio si è trasformato in un luogo, The Listening House, una specie di centro sociale, che ospita oltre a parte delle collezioni, una stamperia, uno studio musicale, ovviamente tutti funzionanti ed al servizio della gente. Il lavoro vero e proprio oramai lo si fa altrove. Usciamo in un giardino esterno e da lì raggiungiamo uno spazio aperto enorme pieno di materiali. Sembra un deposito all’aperto di relitti architettonici, dove però ogni elemento porta con sé una storia unica. Perché questo è quello che fa Theaster, recupera, salva e poi rimette insieme tutti gli elementi, in una sorta di monumento sostenuto dall’energia della memoria dell’oggetto stesso. Dopo una lunga passeggiata tra travi della ferrovia, porte del quartier generale di Johnson Publishing e marmi del Piazzale del Walker Art Center di Minneapolis, io ossessionato con gli accumuli potrei dirmi soddisfatto. Nonostante l’e-mail, ce l’ho fatta. Mentre usciamo dal palazzo, provo un senso di soddisfazione combinato a un grande rispetto per l’artista, per l’uomo.

 

Usciti dal palazzo scopro che il tour non è finito e con la sua auto che ci aspetta, partiamo in giro per il quartiere e lui mi mostra alcuni degli edifici che sta recuperando e trasformando, ed anche quello dove vive, perché lui lì ci vive sul serio. Ci fermiamo a pochi isolati di fronte all’ultimo spazio che la sua associazione ha appena acquistato. Un giardino all’aperto al bordo della ferrovia. Il giardino verrà bonificato, ridisegnato e diventerà un parco aperto a tutti, per i residenti del quartiere e i loro ospiti. Fantastico!
Lasciamo la macchina e continuiamo a piedi per altri pochi isolati verso un nuovo palazzo: il nuovo studio. Cammina con passo svelto e con l’energia che solo chi insegue un sogno può avere. Questo spazio enorme, tremila metri quadri, raccoglie e assembla i materiali che trovano così un nuovo ambiente dove il lavoro esiste fino a quando non si allontana di nuovo per una mostra. È uno spazio dove nulla si accumula, ma tutto fluisce attraverso un movimento di rinascita continuo. Come una diga sul flusso della storia, e noi attraverso scale e passaggi sospesi ne esploriamo gli spazi enormi. 

Siamo di nuovo all’esterno e come per magia la macchina è pronta e ci aspetta, come fosse un trucco magico, mentre in realtà è un gesto pragmatico e complice che ci permette di risparmiare tempo prezioso. Ci rimettiamo in viaggio verso la prossima tappa e questa volta Theaster mi spiega che la Stony Island Arts Bank è uno spazio ibrido: archivio digitale, biblioteca, ospita una serie di associazioni e parte degli archivi e delle collezioni della stessa Rebuild. Originariamente disegnato da William Gibbons Uffendell, nel 1923 per l’allora vibrante comunità del quartiere. Chiuso negli anni 80, da allora l’edificio è rimasto abbandonato ed in costante degrado. Riaperto grazie all’intervento di Rebuild, ora vive come uno spazio per conservare e rendere accessibile agli abitanti del quartiere le memorie e i ricordi della storia e della cultura afroamericana. Questa volta il tour è proprio finito.

 

 Ho sempre pensato che gli artisti siano un po’ come i prestigiatori, non ti portano mai dietro le quinte: ci vuole un’incredibile generosità per portare qualcuno dietro le quinte come ha fatto Theaster. Completamente soddisfatto di ciò che ho visto, mi dirigo verso l’aeroporto, cercando di mettere insieme qualche nota, trovo il sito del ristorante dove siamo stati a cena e leggo: “Non siamo arrivati ​​qui da soli. Siamo sulle spalle dei nostri antenati, sia lontani che vicini. Quelli che hanno dato alla luce chi siamo e cosa diventiamo. Senza le loro lotte, il loro impegno per la libertà e il loro spirito di speranza, non avremmo nessun luogo da sognare, da esplorare e non avremmo ambizioni da seguire. Siamo riconoscenti di fronte a loro e siamo per sempre grati per la loro instancabile lotta per l’uguaglianza.”
Così il cerchio si chiude, e con la mia valigia perfettamente preparata e di cui nulla è servito, mi imbarco sul volo verso LA.

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