Una manifestazione dei gilet gialli a Parigi (foto LaPresse)

Il foglio 48 ore

Il rischio di scottarsi con l'ecologia tassatrice

Alberto Brambilla

I gilet gialli, l’ardire di Macron e l’ambientalismo da usare con cautela alle elezioni europee

Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione europea e membro del Partito del Lavoro (PvdA) di centrosinistra olandese, parlando della campagna elettorale per le elezioni europee del 2019, l’ha detta giusta. “L’ambiente sarà il grande tema”, ha detto in un’intervista alla Stampa del 18 novembre scorso. Dall’ascesa dei Verdi tedeschi alle elezioni in Baviera, i partiti di centrosinistra del continente guardano all’ecologia per tentare di rigenerarsi, dopo essere arrivati ai minimi storici di gradimento negli ultimi anni. Ma per evitare disastri dovrebbero guardare a quanto accade al “poster boy” dell’ecologismo europeista, Emmanuel Macron, il presidente francese.

 

 

Da due settimane sono in corso le proteste dei “gilet gialli” in Francia. Sono iniziate in opposizione a una serie di aumenti annuali delle tasse sul carburante usate dal governo per finanziare iniziative “verdi”. Ad animare le proteste, almeno inizialmente, erano persone provenienti dalle aree rurali e delle piccole città che fanno affidamento sulle proprie auto per lavorare. Eppure, come nota l’economista Alberto Clò su rivistaenergia.it, il gasolio aumenterà solo di 6,5 centesimi al litro e la benzina di 2,9 cent€/lt portando il prezzo medio a circa 1,53 euro€/lt. Prezzi inferiori – e non di poco – a quelli medi italiani: 1,63 euro€/lt per la benzina e 1,55 euro€/lt per il gasolio. Circa 100 mila manifestanti sono scesi in strada in tutto il paese sabato scorso – meno della metà di quelli che hanno partecipato una settimana prima. Sugli Champs-Elysées a Parigi la protesta è diventata violenta e si sono verificati scontri con la polizia. Le ragioni della rivolta sono appunto andate oltre il carburante, arrivando a contestare lo status quo e chiedendo le dimissioni del “presidente dei ricchi”. Benché siano partiti dai territori agricoli i “gilet gialli” godono del sostegno del 73 per cento della popolazione, stando ai sondaggi del canale tv Bfm.

 

Macron ha ricevuto applausi a livello planetario per avere promesso di rendere il mondo di nuovo grande (“make our planet great again”) dopo che il presidente americano Donald Trump, per fare l’“America great again”, aveva abbandonato i piani internazionali per convergere verso la riduzione delle emissioni inquinanti. Nonostante le proteste, Macron non indietreggia sulla sua tabella di marcia pluriennale per la transizione della Francia verso un’energia pulita e ha intenzione di insistere riducendo anche la capacità di produzione nazionale da energia nucleare – grazie alla quale la bolletta energetica dei francesi è bassa. Macron non sembra rendersi conto che, sebbene la sua politica abbia un fine nobile, qual è la tutela ambientale, questo fine non è condiviso da una porzione non trascurabile della popolazione. C’è un palese divario tra il dirsi contro i cambiamenti climatici e accettare misure per combatterli se intaccano il proprio reddito. “Paghiamo e basta”, diceva un “gilet giallo” sabato. Soprattutto fare pagare la “transizione ecologica” a quei cittadini che non possono permetterselo ha contraccolpi politici notevoli, con proteste indirizzate – ancora un volta – contro le élite di cui Macron, ex banchiere Rothschild, è considerato un membro organico.

 

Sia un ricco sia un povero tengono la temperatura della loro abitazione a ventuno gradi, e il costo annuo della bolletta è grossomodo simile. Solo che per chi ha un reddito basso serve un mese di stipendio per pagarla. A chi ha un reddito alto invece basta qualche giorno di lavoro.

 

In Italia l’incidenza della spesa energetica (elettricità più gas) prende ai più poveri il 10 per cento del reddito, mentre prende ai più ricchi il 4 per cento del reddito. Nell’ultimo ventennio l’incidenza della spesa energetica delle famiglie è aumentata, e in proporzione in modo maggiore per le famiglie meno abbienti perché i consumi energetici non possono essere ridotti oltre un certo limite (almeno se non si vuole rischiare di ammalarsi per il freddo). Nel 2016 vi erano 2,1 milioni di famiglie in povertà energetica, pari all’8,6 per cento del totale. La povertà energetica è un concetto accolto nella Strategia energetica nazionale – e mutuato da una ricerca di Banca d’Italia dagli economisti Ivan Faiella e Luciano Lavecchia – e viene definita come “la mancanza di accesso a forme adeguate e affidabili di energia a prezzi sostenibili per soddisfare i bisogni”.

 

In Italia le spese a sostegno delle energie rinnovabili sono state pari all’1 per cento del pil. Se gli incentivi fossero fiscalizzati, sarebbero responsabili di un aumento della pressione fiscale dello 0,9 per cento (dal 41,8 al 42,7) nel 2016. Per la popolazione – lo dimostrano anche i “gilet gialli” – la questione energetica è una questione di tasse più che ambientale. A differenza della Francia, in Italia le accise sui carburanti – la componente che incide di più sul prezzo della benzina alla pompa – non vengono usate per finanziare la transizione energetica. Ma in molti ricorderanno la promessa di “eliminare le componenti anacronistiche delle accise sulla benzina” fatta da Matteo Salvini in campagna elettorale. Però, da quando è diventato vicepremier, Salvini ha dimenticato quella promessa nonostante fosse per giunta contenuta nel “contratto di governo” con gli alleati del Movimento 5 stelle.

 

La lezione che arriva dalla Francia per il governo gialloverde e per i partiti che cercano di rigenerarsi con l’ambientalismo è duplice: la transizione energetica ha un costo che deve essere spalmato, se possibile, in modo proporzionale al reddito per non allargare le diseguaglianze sociali e che l’ambientalismo – per quanto coraggioso e meritorio – può non essere così popolare se per finanziarlo è il popolo a rimetterci di tasca propria.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.