Foto di Tim Mossholder, via Unsplash 

il figlio

Un uomo, una donna, un bambino. Il buio nella mente che cerca salvezza

Giuseppe Fantasia

Jean-Baptiste Del Amo racconta il senso del suo nuovo libro: "Amiamo, ma l'amore ci infetta". Dovremmo amare tutto allo stesso modo o niente. Altrimenti si conduce se stessi alla pura follia

Un uomo e una donna hanno un nome, questo è ovvio, ma Jean-Baptiste Del Amo - già vincitore del Prix Goncourt du premier roman nel 2008 con Un’educazione libertina – nel suo nuovo libro preferisce non darglielo, perché è un dettaglio insignificante. Quel che conta è la storia di quelle due persone, una storia difficile, cruda, violenta, personale - ma per alcuni aspetti universale - da lui raccontata ne Il figlio dell’uomo, pubblicato come tutti gli altri suoi romanzi da Neri Pozza nella traduzione di Riccardo Fedriga. L’uomo e la donna hanno un bambino di nove anni ed è quest’ultimo il punto di osservazione principale dell’autore che predilige la terza persona come sua cifra stilistica: un figlio che il padre abbandonato sei anni prima insieme alla madre, affettuosa, questo è vero, ma spesso assente per colpa di improvvise emicranie, conseguenze dirette di vuoti riempiti dalla presenza di una nonna che si moltiplica e (si) dà senza per forza ricevere. 

 

All’improvviso, il padre torna, ma quegli anni di assenza sono troppi e inaccettabili per cancellarli in fretta. Ognuno ha nel frattempo cercato di abituarsi a una nuova vita creandosene un’altra, ma nonostante questo, la donna – “divenuta madre quando aveva solo diciassette anni, prima ancora di aver sperimentato il possibile desiderio di essere madre”, scrive Del Amo - accetta e perdona a suo modo, perché quell’amore è stato troppo grande. “Ho scambiato la sua rabbia, la sua violenza e la sua avidità per passione, mi sono sbagliata” dirà, confermando che “l’amore è sempre e solo l’altro nome e usa qualsiasi mezzo per ottenere ciò che brama”. Nonostante questo e nonostante adesso lei aspetti un altro bambino (“una pugnalata implacabile”, le dirà l’uomo), deciderà di seguire quest’uomo violento col figlio in una casa sperduta in montagna con il tetto di ardesia coperto da un telone nero, un posto dove nessuno vorrebbe mai andare, neanche col pensiero. 

 

“La dipendenza da una persona che abbiamo amato - dice al Foglio Del Amo - ci fa fare dei gesti inconsulti e il cuore ha spesso la meglio sulla mente. L’amore però può essere una malattia, un virus inoculato nel cuore degli uomini, “un cuore già in decomposizione e già corrotto, mangiato dalla cancrena da tempo immemorabile, il cui fondo sarebbe inutile cercare di sondare”. “Te lo dico oggi per il bene dell’uomo che diventerai domani”, dice il padre al figlio. “Guardati dall’amore, perché non ne caverai nulla di buono, perché gli uomini, più di qualsiasi altra bestia sulla terra, nascono con questo vuoto vertiginoso dentro che vogliono disperatamente riempire finché dura il loro breve, insignificante, patetico tempo in questo mondo, paralizzati dalla loro caducità, dalla propria assurdità e dalla propria vanità”. 

 

Amiamo, questo è vero, e crediamo di aver trovato un senso, una ragione e un ordine al caos, “ma l’amore in verità ci infetta”, aggiunge Del Amo, “corrompe la nostra anima e il nostro vuoto”. Allora dovremmo amare tutto allo stesso modo o non amare nulla, perché riporre le proprie speranze in un solo essere così fallibile, difettoso e subdolo come l’essere umano, “porta in sé un vuoto e una profondità abissale che è pura follia”. Il pensiero del padre è controfattuale e consiste nell’immaginare uno scenario che avrebbe potuto verificarsi, ma che non è accaduto. Li ha portati in montagna, alle Rocce - un vero e proprio Regno animale, per citare un altro suo bestseller, un luogo ameno e lontano  - per trovare in sé stesso la forza del perdono e per offrire alla madre la possibilità di redenzione. Ma siamo sicuri che sia così? Che quest’uomo riuscirà a spezzare la catena di violenza che conosce così bene? Tremendamente ipnotico, questo romanzo vi resterà dentro a lungo.

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