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Il figlio

Bozzolo d'oro

Gaia Manzini

Gli abiti smessi di mia madre e il suo segreto chiuso dentro una busta

Prendili tutti, a me non servono più, non me ne frega più niente. Mi ha detto così mia madre indicando i vestiti che ha scartato. Vorrei dirle che non interessano neanche a me, ma non posso; vorrei dirle che non mi servono, ma poi non è neanche vero. Quando torno a casa li appoggio sul letto: sono pagine sovrapposte, racconti trattenuti da bottoni e chiusure lampo. Lo so. Ma il solo fatto di saperlo mi stringe lo stomaco: è troppo presto per scrivere la storia di mia madre. Elvira Seminara ha pubblicato anni fa un bel libro, L’atlante dei libri smessi. Ora ce l’ho anch’io un atlante.

 

Inizio dalle giacche, perché anche a me piacciono le giacche; mi piace quando in primavera si può andare in giro solo con un blazer. Sono piccole corazze quotidiane; più di tutto difendono il cuore. Siamo due sentimentali io e la mamma, ci commuoviamo, ci affezioniamo subito, anche se cerchiamo di dissimulare. Sono quasi una ventina; altrettante sono rimaste nell’armadio di casa sua: di velluto, di lana, di seta, quasi tutte scure. In una tasca trovo una scatola di fiammiferi: fiammiferi di un albergo in Francia - quando ci si vestiva bene per scendere a cena, i bicchieri di cristallo, le posate d’argento, una mondanità che si usava come rassicurazione; un modo per placare l’ansia. Per il resto le giacche di mia madre hanno quasi tutte le tasche chiuse: le bocche cucite, c’è qualcosa che non vogliono confessare. Sono quasi tutte uguali perché si può migliorare in infinite piccole variazioni. Ma migliorare in cosa? Sono mimetiche, si allineano a un gusto condiviso, ma il segreto è questo: passando inosservate regalano una pausa dallo sguardo del mondo e così si prendono cura del cuore. Decido di tenerle tutte. Anche quella per le serate a teatro, diversa e uguale alle altre: con un rovo ricamato sul petto, intorno al cuore.

 

Da un lato ci sono i vestiti che raccontano la serietà di mia mamma, dall’altro i vestiti appariscenti, urlati. Sono due emisferi contrapposti. Il vestito verde di seta lo ricordo. E’ bellissimo. Ha il colore degli smeraldi, però non si può più mettere: la stoffa è scolorita sotto le ascelle. Passo un dito sopra quell’alone e mi intenerisco. Bisogna essere capaci anche nella sensualità, bisogna saper sostenere lo sguardo degli altri. L’avvenenza può mettere molto nervosismo. Tra tutti gli abiti c’è anche una busta di stoffa. Non è l’abito da sposa perché quello è l’unico vestito che mia madre non ha mai più trovato. Ed è strano perché lei e mio padre hanno un matrimonio lungo e felice, o forse proprio per questo. Perché la felicità un po’ si consuma a tenderla nel tempo, ma per farla durare non si può che portarla avanti con lentezza, senza guardare troppo ai singoli momenti, quelli troppo pieni di promesse.

 

Mia nonna ha chiamato mia madre Maria Teresa come la grande imperatrice: non a caso è stata una donna seria con la frivolezza di voler essere una regina. Lo dicono l’abito rosso, gli chiffon, i pizzi neri. Li volevo buttare tutti e ora li voglio tenere; li voglio indossare con le scarpe da ginnastica o gli stivali da moto, si può essere regine in tanti modi della propria vita. Nella busta bianca chiusa c’è un abito pesante. Quando lo tiro fuori capisco: ecco l’abito da imperatrice. Non l’ho mai visto, avrà più di cinquant’anni: è di broccato d’oro, è lungo fino ai piedi. Stupendo e immettibile. Mia madre cosa poteva farci con un abito del genere? Una cosa da panfilo, da palazzo in Costa Azzurra, da Grace Kelly o forse di più. Soprattutto cosa ci posso fare io? Indossato a piedi nudi è superbo. Se balli lo è ancora di più: sei una luce stroboscopica. Ci dovrei andare a un rave se non fossi troppo vecchia per i rave. Poi mi guardo allo specchio e capisco. Non è un abito da sera, ma il vestito della trasformazione. E’ un bozzolo elegantissimo: il segreto di mia madre. Bisogna metterlo in casa, e basta. Sdraiarsi con quello indosso ed esprimere dei desideri per sé stesse. Strofino l’oro con le mani, chiudo gli occhi e mi concentro.

 

Gaia Manzini è in libreria con “Nessuna parola dice di noi” (Bompiani)