Foto: Alicia Petresc

Il Figlio

Avevi ragione tu

Susy Galluzzo

Credevo di dover volere un figlio, ma mia madre sapeva che non era vero

Sei sicura che vuoi avere figli? Non ti ci vedo, a te piacciono altre cose. Sono le parole di mia madre, scomparsa qualche anno fa. Troppo scontato dire che la sua mancanza è una voragine, ma lo è. Ricordo nitidamente la scena, sul vecchio divano della casa in cui sono cresciuta, il luogo delle nostre confidenze, da quando ero bambina. Le paure a scuola, i litigi con le amiche, le cotte non corrisposte. Passava tutto da lì, di solito finiva con una delle sue fragorose risate e uno dei suoi fragorosi baci, con cui riusciva a “riaggiustare” il mio mondo. Eppure lei, mamma del Sud, che aveva vissuto per i suoi 4 figli e che, anche se fisicamente sofferente, era pronta a crescere i nipoti, mi aveva spinta a riflettere se effettivamente per me, quella di avere figli fosse la cosa giusta.

 

Con la saggia leggerezza che le aveva permesso tante volte di pensare controvento, in direzione ostinata e contraria rispetto alla sua educazione tradizionale, mi aveva spiazzato. Avevo 34 anni. L’età della resa dei conti. L’età della noia. Arriva il momento in cui hai completato il cursus honorum, una laurea con lode, una carriera soddisfacente, hai trovato il tuo posto, e scatta quel E ora? E ora ti manca un figlio. Ti manca un figlio perché è naturale averne o almeno provarci, ti manca perché è il momento di alzarti dalla scrivania a cui stai seduta dalla quarta ginnasio e cominciare a riempire lo spazio bianco, che urla da una stanzetta vuota, il non poter dire scusate devo accompagnare Ilaria a tennis oppure Marco ha la febbre, ragazze, non posso venire stasera, il non avere in macchina “un maschietto e una piccina, coi berrettini di lana a pon-pon e le calze lunghe”.

 

Parlo per me, ovviamente, ma anche per uno stuolo silente di donne che ho conosciuto. Mamma aveva ragione. Conoscendomi profondamente e noncurante di discorsi retorici per figlie femmine, aveva calato il sipario sulla mia recita. Quella di una donna in cerca, anzi, a caccia di maternità che non aveva in quel momento un compagno che la supportasse nel suo nuovo obiettivo. Io non ho mai voluto veramente dei figli. Sì, faccio parte di quelle donne lì. Per egoismo? Sì, forse in buona parte sì. Se è egoismo quello di volersi dedicare completamente a se stessi. Ma anche perché forse in fondo ho sempre pensato di non avere sufficienti energie emotive a fronte, invece, di un timore che c’è sempre stato, fin da quando ero piccola. Non voglio una responsabilità per tutta la vita, dissi una volta. Mamma lo aveva registrato.

 

Un bambino va “maneggiato con cura”, soprattutto nei primi anni: io ricordo ancora il profumo del borotalco dopo il bagnetto, le braccia che mi sollevavano dalla culla quando mi svegliavo, le storie del Signor Leone, che passava ogni mattina per controllare se avessi mangiato. E di questo non credo di essere capace. E un figlio può essere un estraneo, un avversario quotidiano, un problema da risolvere, per cui potresti non voler tornare a casa e però lo devi fare. Qualcuno che potresti non sopportare, ma da cui non puoi scappare. Cose che ho imparato crescendo, raccogliendo le confessioni di amiche e colleghe madri che forse proprio per il mio essere neutrale si sono aperte con me. E mi hanno aiutato a creare Ella e il suo rapporto con la figlia tredicenne, che è la sua vita, ma anche la sua morte, protagonisti del mio romanzo. Ci penso ancora, forse tutti i giorni, anche se ho 45 anni e le possibilità sono poche. La stanza è vuota, l’auto pure, non ho party e saggi di danza nel week end e lì fuori è pieno di predicatori. Ma di loro ormai poco mi importa. Un po’ di saggia leggerezza mi è stata lasciata in eredità. Il mio rammarico? Non avere l’opportunità di fare il più bel complimento che mi sia mai stato rivolto: “Vorrei altri dieci figli come te e non mi basterebbero”.

 

Susy Galluzzo
Da ieri è in libreria "Quello che non sai"

 

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