(Foto Marco Allegretti - Unsplash)

Il Figlio

Vuoi un figlio?

Simonetta Sciandivasci

Voglio prenderti a schiaffi, anima mia. Sempre sola col desiderio di qualcuno

Non so come ho disinnescato il desiderio di maternità. È successo come con la paura del buio: una notte mi sono svegliata, sono andata in cucina per bere e, mentre bevevo, mi sono accorta che non avevo acceso la luce. Non sono certa che fosse la prima volta, di certo non me ne ero mai accorta prima. Ricordo bene anche la prima volta che ho guardato un bambino senza sperare di averne uno mio, e non so altrettanto bene se fosse la prima volta in assoluto: di certo, quella volta me ne ero accorta, e da allora ho preso ad accorgermene. Mi fa sempre un bell’effetto ridente. Penso a un detto gardesano che mi ha insegnato un amico: l’è success.

 

Ci penso e rido, e fantastico che mi senta ridere anche l’uomo che una volta quasi lasciai perché mi disse che non era certo di volere dei figli, anche se a me di fare dei figli già non fregava niente, però non ero affatto disposta ad ammetterlo. Quasi lo lasciai perché non potevo sopportare che lui non desiderasse un figlio mio, quindi anche suo, proprio come non potevo sopportare che lui non amasse Updike e non capisse niente di niente di cinema. Non sono fiera di quella scenata, così come di molte altre, e non ho intenzione di dare la colpa al patriarcato: so benissimo che i desideri sono indotti in qualsiasi esistenza, in qualsivoglia tempo, e che spesso persino ciò che chiamiamo istinto è un desiderio e quindi contiene una forzatura, l’ascrizione a un compito. Non credo esista l’istinto di maternità ma credo esista l’istinto alla sopravvivenza e non ho ancora capito in quali percentuali coincidano, cosa abbiano in comune.

 

Ho detestato la trentottenne che non so nemmeno come si chiami per cinque ore, il tempo che ci ho messo a leggere il libro del quale è protagonista, l’ultimo romanzo di Annalisa De Simone “Sempre soli con qualcuno” (appena uscito per Marsilio). L’ho detestata come si detestano le persone che ti sbagliano davanti, a un passo da te, fregandosene di te che dici non lo fare, ci sono passata, ascoltami, come puoi essere tanto scema, tanto me. Questa trentottenne è una scrittrice aquilana sposata con un avvocato di sinistra che tradisce con un politico di destra, fa ancora i conti con il divorzio dei suoi genitori, vuole un bambino. E tu lo vuoi, chiede continuamente a suo marito, che le risponde non adesso, forse domani, riparliamone, non me la sento ancora, che fretta c’è.

 

È una donna bella, ricca, colta e persecutoria come fino a ieri si diceva che diventano le donne a trentacinque anni se non hanno un figlio, e ancora c’è qualche cretino che lo dice al bar. Di tutte le donne dei romanzi dell’ultimo paio d’anni, quasi sempre cattive perché è diventato indispensabile sottolineare che anche le donne sono cattive, questa trentottenne troppo seria e sexy è la sola che mi sia stato possibile detestare senza sentirmi in colpa, la sola che è meschina ed egoista per natura sua e non per riflesso, reazione, condizione. Non è una cattiva intoccabile, una cattiva con buone ragioni. Forse non è nemmeno una cattiva, forse è soltanto triste e inappagabile, e pensa di poter risolvere entrambe le cose con un bambino, e io la odio perché mi ha messo addosso un dubbio enorme, che credevo risolto e invece era solo dimenticato.

 

 

Questo dubbio: quel qualcuno con cui siamo sempre soli è un figlio? Sei sola con un figlio se ne hai uno, perché ti rapisce, ti assorbe, ti fa odiare dai tuoi vicini di scompartimento in treno perché fa i capricci, e sei sola con un figlio se non ne hai uno e guardi quelli degli altri come guardi certe torte quando sei a dieta e ti porti a casa il loro rumore e poi lo copri con il giradischi, gli amanti, il vino, e sei sola con qualcuno anche se giocare con i figli delle tue amiche non ti fa venire voglia di averne uno tuo, e tu te ne stupisci sempre, e fintanto che te ne stupisci è perché quel figlio che non vuoi comunque c’è, detta un giudizio, crea un discrimine. Che bel libro ha scritto De Simone, tormentato e tormentante, su una cosa difficile, che non risolveremo abolendo il patriarcato e nemmeno congelandoci gli ovuli: capire come mai siamo sole, con o senza figli, sorelle, amanti; se ci piace esserlo o se stiamo fingendo che ci piaccia.

 

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  • Simonetta Sciandivasci
  • Simonetta Sciandivasci è nata a Tricarico nel 1985. Cresciuta tra Ferrandina e Matera, ora vive a Roma. Scrive sul Foglio e per la tivù. È redattrice di Nuovi Argomenti. Libri, due. Dopodomani, tre.