Foto di Adam Derewecki da Pixabay  

Il Figlio

L'essenziale

Laura Imai Messina

Tutto quel che serve in un libro di favole: il mio Occidente e il loro Oriente

 

Sosuke ha bisogno di dire più sì. Emilio ha bisogno di cadere nelle storie per farsi più calmo. Sosuke ama i suoni improvvisi, le onomatopee che tirano piccole orecchie dentro a pagine meno illustrate, Emilio ama Daidara-bocchi, il gigante della tradizione giapponese, che si dice abbia creato il monte Fuji con le sue manone. Sosuke si affeziona alle storie – quando finiscono pare un po’ triste. Emilio non riesce a non fare domande mentre si legge. Entrambi amano allungare le ditine sui disegni e contare, seguire il confine delle figure. Tengo un quadernino Moleskine da quando Sosuke ed Emilio sono nati, uno per ognuno. L’ho inaugurato per trascrivere commenti, frasi ai miei bimbi, per quando saranno grandi, qualcosa da consegnare quando andranno via di casa e avranno bisogno di ricordare quanto amore li ha preceduti.

 

La verità, però, è che non trovo mai il tempo, o meglio, non riesco a creare quel tempo per compilarlo. Sono incostante e il tempo scivola tra le crepe di un giorno, pulizie, asilo, di fretta, tutti in bici, dove sono le chiavi? Poi, un giorno, ho pensato che l’unica maniera di dire loro qualcosa, di stargli vicino, di trovare una forma nuova per parlare ai miei figli e spiegare loro quale mistero tiene la mamma attaccata a un rettangolo illuminato, dove in mano, dove più grande sul tavolo del soggiorno, fosse scrivere non a loro ma per loro. Sosuke ha cinque anni, Emilio ne ha tre. Ho scritto un libro di favole. Di fiaba in fiaba ho messo dentro l’essenziale – come l’occorrente in una sacca da viaggio. Per ogni fiaba ho nascosto un messaggio, una delle frasi non scritte sul quadernino.

 

“Per quante volte si cada, ci si rialzerà sempre. Lo vedi Sosuke? Proprio come il bonzo Daruma che perde i pezzi per strada ma, alla fine, rotola che è una meraviglia”. “La paura, Emilio, non è una brutta cosa. Anzi! Guarda la piccola volpe Ko-kitsune-ne: proprio grazie alla paura, lei scopre il modo di illuminare il cielo di Yamato di fuochi d’artificio: nessuno c’era riuscito prima di lei”. “Non è amare tanto che importa, bambini, ma bene. Come il pastorello Hitsuji-boshi che si impegna per amare con rispetto e dolcezza la principessa della stella Ori-hime mentre il demone del vento Fujin la vuole per sé e basta. Notate la differenza?”. “Le bugie non sono nient’altro che storie, piccini miei, se la realtà non vi sta bene la potete trasformare, inventatela nelle storie come fa Uso-tsukino, il bambino più bugiardo delle terre di Yamato!”. “E poi, ricordate, come dice la dea della Primavera all’uccellino Uguisu, non serve parlare tanto, anzi, è meglio dire meno ma meglio. In generale meglio poco ma buono!”.

 

Dentro Goro goro ho messo l’Occidente della madre e l’Oriente del padre, perché nel miscuglio che sono, ritrovassero quel mondo mescolato che è il loro sangue. So che un giorno questi due bimbi dai nomi lunghissimi (Claudio Sosuke ed Emilio Kosuke) e dal doppio cognome (Imai Messina) partiranno e decideranno dove allungare le proprie radici, in un luogo tra Italia e Giappone, o magari in un terzo posto del mondo. E allora, in questo libro di fiabe, ho messo al centro il viaggio, ma il tesoro non è mai l’obiettivo. Cristina Campo scriveva che il bottino, in fondo, in nessuna fiaba si sa praticamente dove va a finire, che le immense ricchezze di diamanti e rubini non servono a nulla; anzi “accade in ogni fiaba che, partiti per avere una cosa, se ne riceva misteriosamente un’altra”. In questo libro che ho scritto per loro, ho messo anche un messaggio per me. L’ho fatto pronunciare a Uso-tsukino, quando un Orco Dentone gli domanda il suo lavoro: “Io? Nella vita cresco... sono un bambino”, rispose Uso-tsukino con educazione. È un promemoria per me: stanno imparando a vivere in questo mondo molto più complicato delle fiabe che ho scritto per loro. Crescere è la cosa più complicata che c’è. “Non mettergli fretta, Laura. Il loro lavoro non è meno importante di quello che fai tu”.

 

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