Foto Cecilia Fabiano/LaPresse

Il Figlio

Entrare in quarantena come in maternità. Allucinazioni

Giacomo Giossi

Diventare madre almeno di quel virus. Invece sono negativo e distante da lei

Quando mi ha chiamato quasi non ci credevo, ci eravamo lasciati non dico male, ma tanto meno bene. Io che esco dalla porta di casa sua con un segno della mano e lei che guarda nel vuoto fissa senza nemmeno fare un cenno. Ricordo che ho sceso le scale di corsa, così per darmi un ritmo. In questi casi l’ascensore è sempre sconsigliabile.

 

Mentre mi parlava aveva una musica di sottofondo, che nelle mie cuffie prendeva la forma di una specie di chiasso armonico che la costringeva ad alzare il tono di voce solitamente basso. E io del resto pur sentendola comunque bene le chiedevo meschinamente di alzare la voce: “Non sento, non capisco, alza la voce”. Così sentendola quasi stridula mi ha detto di un amico, poi di una cena, poi di un’amica dell’amico, non ho capito insomma. Pare però che siano tutti positivi e poi silenzio. “Insomma fatti un tampone” mi ha detto con rudezza. Stavo per reagire con le solite frasi del tipo sto bene, non sento nulla, non ho nemmeno l’ansia in questi giorni, ma ho immaginato la sua risposta e così sono stato zitto. E lei ha ribadito “Fallo”. Non mi ha detto neanche Ciao.

 

Così ho preso appuntamento e tutte quelle cose che si usa fare in questi casi, in questi mesi. E mentre aspettavo mi sono stupito nel vedere una giornata di sole a Milano. Mi è sembrato subito un brutto presagio, ma al tempo stesso un buon segno. Me ne stavo insomma in questo pieno inverno estenuante, in questo inverno dei nostri abbracci perduti e mi è parso improvvisamente che l’unica cosa davvero sensata fosse per lo meno avere questo virus dentro di me. Mi è parso che l’unica cosa significativa in questa lotta fosse non dico perdere, ma entrare in contatto con questo tizio sotto forma di virus.

 

In attesa tra facce stravolte mi si è palesata così l’ipotesi di essere positivo, di diventare anche io madre di qualcosa, almeno di questo maledetto organismo. Ho subito pensato alla mia entrata in quarantena come a una maternità, e ho iniziato a fantasticare, a delirare: riprendere coscienza di me stesso, volermi bene, sentire questo cambiamento dentro di me, magari pure mangiare meglio, fare qualche esercizio rilassante. Curarmi. Fare forse delle zuppe?

 

Vedermi come madre già mi faceva stare bene, mi accarezzavo il grembo con le mani e guardavo con una sorta di sorriso disteso le persone, che è come mi immagino facciano tutte le mamme del mondo quando sono per strada. Poi è venuto il momento del test ho chiuso gli occhi, ho sentito delle mani delicate accarezzarmi il mento e poi questa sorta di affilato cotton fioc su su per il naso. Ho lacrimato un poco, un poco mi sono sentito invaso, ma lo sguardo sereno e gentile di colei che già mi pareva un’ostetrica mi ha subito tranquillizzato. E così sono ritornato in strada ad aspettare l’esito, la notizia che avrebbe per sempre cambiato la mia vita.

 

In un misto tra desiderio e ansia i minuti sono scorsi lentamente, già pensavo alla necessità di un doppio cuscino a letto per leggere senza farmi venire quei dolori che da un po’ di tempo assillano la mia cervicale. Pensavo a libri di cucina, a quel tizio di cui dovrei avere il numero che mi ha sempre detto benissimo dell’ashtanga yoga che non solo non so che cosa sia, ma nemmeno cosa significhi. Pensavo a lei, che mi avrebbe detto: amore.

 

Poi è uscita dal laboratorio una segretaria, credo la segretaria della presunta ostetrica, mi ha sorriso e mi ha dato una busta. Mi sono un po’ allontanato per leggere l’esito, il cuore a mille come in certi film. Già immaginavo chissà quali elementi del passato sarebbero venuti a galla con questa nuova esperienza. Negativo, invece ero negativo, non stavo diventando madre di niente. Sì alla fine ho pensato vabbè, meglio così, è chiaro. Però.

 

E “Sei scemo?” Mi ha detto al telefono lei quando le ho detto: “Mi spiace sono negativo”. Anche lei lo è, lo siamo entrambi. Negativi e distanti. Abbandonati a noi stessi eppure in salute, una salute chissà ancora per quanti mesi inutile e buona solo da lontano. Stiamo bene, ma non ci è servito per essere qualcosa di diverso, qualcosa di meglio. Io non sono diventato madre nemmeno questa volta e lei non mi ha più detto nemmeno Ciao.

 

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