(foto d'archivio LaPresse)

Era meglio prima?

Ilaria Macchia

Mia figlia a divertirsi con la tata, io nello studio tutto per me, ma dalla finestra vedo solo bambini

Quando ho scoperto di essere incinta non sapevo che sarebbe arrivata dentro casa mia una bambina così allegra. Le ansie che avevo si sono dissolte, o almeno attenuate, col suo primo sorriso, un’arma speciale che possiede lei contro ogni seccatura. Mi era rimasta una sola preoccupazione: trovare un posto dove lavorare perché a casa si cominciava a stare stretti. Così ho preso uno studio in affitto. Un posto bellissimo, con una finestra che si apre su un balcone che troneggia su una piazzetta sempre piena di gente. Lì davanti ho posizionato la mia scrivania.

 

Adesso, dopo due mesi in casa trascorsi alla ricerca di un angolo tutto per me, ho ricominciato a venire allo studio. Sempre, per tutto il giorno, dalla mattina alla sera. Quando finisco di lavorare torno da mia figlia e mi impegno a trovare modi per farla ridere, percorrendo soprattutto la strada del solletico, che forse è quella che so praticare meglio. Mi tengo da parte anche un altro rito: quello del latte al mattino. Glielo do io impedendole a tutti i costi di imparare a prendere il biberon con le sue due mani perfette (sarebbero, invece, capaci di fare qualsiasi cosa ovviamente) e fingendo che, ancora ora che ha un anno e mezzo, abbia bisogno di me per nutrirsi. Almeno a colazione.

 

La faccio mangiare, le scelgo i vestiti e poi la consegno alla tata. Loro attendono insieme a un sacco di doveri, mentre io prendo lo zaino e vado allo studio a lavorare. Poi, però, mentre sono allo studio e scrivo e mi sento concentrata, alzo per un attimo lo sguardo alla finestra. Prima una volta, poi una seconda, e poi finisce che sto sempre a guardare fuori, alla piazzetta adesso di nuovo piena di vita, piena di tutti ma non di mia figlia.

 

Da quel momento, dalla finestra, comincio a vedere solo bambini. Elenco dei bambini che vedo dalla finestra dello studio, struggendomi all’idea di mia figlia che gioca con la tata, da un’altra parte:

 

- Bambina di due anni con una maglia fuxia, si siede sui gradini e poi si alza, si siede e si alza. La madre, che le sta accanto, mangia roba fritta che tira fuori da una busta di plastica blu e la passa anche a lei. Brutta scema, la frittura ai bambini non si da. Poi la bimba – che, lo ammetto, da questa distanza sembra carinissima – accenna dei passi di danza, mentre afferra un’ultima cosa unta che le passa la mamma e, tenendosi per mano, se ne vanno. Io penso: anche se lascio mia figlia con la tata, roba fritta da mangiare non gliene do. E così mi rassicuro.

 

- Bambino di due anni dorme nel passeggino. Il papà lo guida sino alla fontana, si siede sui gradini e viene raggiunto da un amico che gli passa una birra. Il mio volto esprime scetticismo. Osservo meglio il bambino (mi servirebbe un binocolo, devo ricordarmi di comprarlo dai cinesi qui sotto) e mi accorgo che la cerniera della giacchina è aperta. Si ammalerà. Non solo: la giacchina che indossa è nera! Se c’è una cosa che mi ha insegnato mia nonna è che ai bambini i vestiti neri non si mettono, non sta bene. Mi dico: anche se mia figlia sta sempre con la tata, vestiti neri non ne ha. E così mi rassicuro.

 

- Bambina di tre anni a un passo da un gabbiano feroce. La mamma al telefono le dà le spalle. Lei, senza paura, si avvicina sempre di più al gabbiano e tenta di afferrargli una zampa. Lui, pericoloso, si tira indietro e per non fare casini abbandona il posto. Ma non potrebbe parlare al telefono tenendo d’occhio la bambina? E penso: anche se mia figlia sta sempre con la tata, io non la lascerò mai in balia dei gabbiani per parlare al telefono con chissà chi. E mi rassicuro.

 

Ma quando torno a casa la sera, dopo aver passato la giornata a spiare tutti i bambini degli altri dalla finestra, e penso a quanto siano stati belli ma difficili i giorni chiusi in casa a vivere e a lavorare come se nulla stesse succedendo, a giocare con tazzine e gelati di plastica per la maggior parte del tempo per poi scatenarsi sul computer nelle due ore in cui mia figlia dormiva, mi chiedo se ora sto facendo bene.

 

Per caso, non era meglio prima?

 

Non sarebbe più semplice restare a casa, ridurre la scrittura a un paio di ore al giorno (non esiste alcuna scrittura fatta di solo un paio di ore al giorno. O sbaglio?), ed essere però certa che mia figlia abbia la giacchina colorata e sempre chiusa, che non mangi frittura e che non si annoi (e non rischi la vita) a guardare i gabbiani feroci?

 

Non sarebbe più semplice?

 

Poi però, stamattina, quando ho aperto la porta dello studio ho avuto un’altra idea, più semplice ancora. Ho sollevato la scrivania e l’ho posizionata sull’altro muro, spalle alla finestra, lontana dal rumore dell’acqua che guizza nella fontana, dalle urla dei grandi che continuano a ripetere “vieni qui”, dai passeggini ora vuoti ora pieni, dai monopattini di colori fluo in piedi come soldati. Lontana da tutto. Di bambini, dentro questo studio, non ne voglio vedere più.

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