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La promessa

Valentina Furlanetto

Un giro in pedalò al posto della gita a Venezia. Facciamo come nel 1989: non pensiamoci

"Mamma, quando andiamo a Venezia?”. La promessa c’era stata, in effetti. L’avevamo lanciata in aria, io e la mia amica, come si lancia in aria un popcorn, per entusiasmo, per allegria, credendoci e non credendoci. Andiamo al mare nell’alto Adriatico e poi magari, perché no, facciamo pure una gita a Venezia. Non era lontana, in linea d’aria molto vicina. Sarebbe stato bellissimo. Devo ammettere che a me sembra tutto bellissimo quando mancano due mesi, poi arriva il momento, mi prende la pigrizia e mi taglierei una gamba piuttosto.

 

“Visualizza” diceva lei. E io, sdraiata al sole visualizzavo la Biennale, il Guggenheim, Burano con le sue casette colorate, e soprattutto – devo ammettere – i bacari con il prosecco freddo e i folpetti fritti.

 

Ma poi, sdraiate sotto l’ombrellone, con trentasette gradi all’ombra, e i cinque bambini – tre suoi, due miei – che scavavano nella sabbia buche tutto intorno come piccole talpe furiose, abbiamo fatto il calcolo dei soldi, dei chilometri, del sali e scendi dai ponti, abbiamo visualizzato la massa di turisti, i capricci dei piccoli e i musi lunghi dei preadolescenti. E qualunque soluzione sembrava faticosissima e piuttosto di Venezia mi tagliavo subito una gamba.

Però peccato, diceva lei. Le sue tre talpe fanno sempre cose apparentemente fighissime con il padre – weekend esotici e costosi – e lei è quella del riso al burro col parmigiano dal lunedì al venerdì, dei compiti da fare tutti i giorni, del stiamo meglio anche senza tv e microonde (visto che non ce li abbiamo più).

Toccava arrangiarsi. Ma poi non si stava forse bene lì, in quella località dell’alto Adriatico rimasta ferma agli anni Ottanta? Con il bar della spiaggia che passava Ti pretendo di Raf, con i ristoranti che invece del solito Pokè milanese servivano i gamberetti in salsa rosa? Ci sono posti dove è sempre il 1989, c’è ancora il Festivalbar e io ho sempre diciassette anni. Posti che vengono scongelati a giugno e rimessi in freezer a settembre, dove le guerre yugoslave non ci sono ancora state, siamo tutti innocenti, ricchi e si va in pensione a quarant’anni.

Le promesse ai figli però hanno una natura particolare: le lanci in aria con leggerezza, come popcorn, e ti ritornano in testa come macigni.

“Mamma, avevi promesso Venezia. Almeno in pedalò”.

Un sogno minore. Così ci siamo infilati in sette in un pedalò da sei, i preadolescenti a pedalare, gli altri dietro. Il tipo del pedalò aveva detto un’ora, ma aveva visto subito che avevamo molti figli e poca cognizione del tempo. Il mare sembrava una tavola, lucente, piatto.

Io e la mia amica abbiamo iniziato a rilassarci. La più piccola, cinque anni, ha intonato molto opportunamente una canzone di Natale. Gli altri hanno cominciato a litigare: buttiamo l’àncora! La butto io. No, la voglio buttare io. Mi butto io.

A un certo punto in mezzo al mare abbiamo incrociato un bagnino su una zattera. Abbronzato e impettito, con noi urlanti a fianco, guardava altrove. Come dargli torto.

Ho sonno, ho fame, l’acqua è troppo profonda, poco profonda, abbastanza profonda. Torniamo? Restiamo? Andiamo più al largo? Vi lasciamo in mezzo al mare per sempre? Il bagnino, giovane ma già saggio, fingeva di non sentire. Restiamo qui dai, che metti che succede qualcosa c’è lui. Come se la presenza di un maschio adulto fosse mai stata garanzia di sicurezze.

Le cinque talpe, stufe di tuffarsi, hanno ricominciato con: l’avevi promesso che andavamo a Venezia. Ma noi a Venezia non ci potevamo andare, perché a volte vorresti mantenere le promesse, ma proprio non ce la fai, perché con il biglietto per Venezia per sette ci si fa la spesa per una settimana. E allora non resta che alzare l’asticella della fantasia, alzarla molto. Perché la mia amica è una mamma fantastica, un’amica fantastica, ha le tasche piene di allegria e intelligenza e quando cucina fa anche il giocoliere con la frittata.

Ragazzi pedalate, che arriviamo a Piazza San Marco. Altro che treno, vaporetto, arriviamo a Venezia in pedalò! Che ci vuole? E’ proprio in quella direzione. E le talpe ridevano divertite. Ecco il ponte dei Sospiri, ragazzi, l’hotel Danieli, il Palazzo Ducale. Ma cos’è questa musica? Un concerto? La piazza è gremita, la folla aspetta da stamattina i Pink Floyd. Le cinque talpe saltano eccitate. Ridiamo tutti. E’ luglio 1989. Attaccano Shine on you crazy diamond e duecentomila persone ondeggiano in piazza, i nostri bambini urlano felici, la più piccola ha smesso di cantare le canzoni di Natale. Poi la talpa di 12 anni mi sussurra all’orecchio: “Mamma, tutti buttano bottiglie di PLASTICA per terra. Al Jova Beach Party non lo avrebbero permesso”. Perché è l’89, io ho 17 anni, ma comunque due figli, e una sempre invasata ambientalista resta. “Non ti preoccupare – rispondo – Lorenzo ha ragione, ma facciamo come si faceva nel 1989: non ci pensiamo”. Ed è lì che mi sveglio, tutta sudata. “Siamo ancora nell’89?” chiedo. “No mamma, è il 2019 e quello del pedalò vuole i suoi soldi”.

Valentina Furlanetto

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