La frontiera

Nadia Terranova

Una scrittrice sulla Mare Jonio, la politica, la vita umana, la dignità. Storia di una diserzione

Che succede se, mossa da una rabbia che viene dall’intollerabilità del presente, una scrittrice attraversa la frontiera e porta sé stessa, il suo corpo, quella rabbia, una sorprendente energia, tutto il suo amore, la forza costruttiva e distruttiva della letteratura fuori dai confini entro i quali ha consuetudine? Le risposte sono molte, dipendono dai gradi di separazione che quella persona mette dentro sé fra politica e scrittura, dipendono da chi quella persona vuole essere fuori dai suoi libri: un’attivista, una cittadina responsabile, la collaboratrice di un’associazione o di un partito politico, sono tutte strade legittime. Elena Stancanelli però ne sceglie un’altra, più difficile e più interessante: restare in ogni istante una scrittrice, una persona abituata a scrivere romanzi, e raccontare così quello che il suo corpo vedrà e vivrà. Quando, nell’autunno del 2018, si imbarca sulla nave Mare Jonio, comprata e allestita da un’Azione non governativa chiamata Mediterranea, lo fa perché quella nave, un rimorchiatore a bordo del quale ci sono donne e uomini che non concepiscono che altre donne e altri uomini vengano lasciati morire in mare, ha richiesto la presenza di voci che possano osservare e raccontare. Da qui nasce “Venne alla spiaggia un assassino” (La nave di Teseo), un libro non ordinario già dal titolo, l’autopsia di un’Italia incapace di assunzioni di responsabilità attraverso l’esposizione, più che la testimonianza, di una scrittrice capace di raccontare il limes mentre lo varca, sia quello del mare sia quello interiore.

 



 

Il libro inizia due volte. Inizia quando Stancanelli risponde all’appello di un altro scrittore, Sandro Veronesi, che a luglio 2018 invita chiunque abbia popolarità a portare il proprio corpo laddove c’è bisogno di attenzione, nel Mediterraneo, laddove Matteo Salvini parla di “pacchia” riferendosi alle torture e alla morte dei migranti, ma inizia anche un anno prima, con la frase di Matteo Renzi “aiutiamoli a casa loro”. Così scrive Elena Stancanelli: “Nel luglio del 2017 ho chiamato Alessandro Leogrande. La mia decisione di imbarcarmi e la telefonata ad Alessandro sono collegate, per tante ragioni. Mi ricordo benissimo tutti i passaggi della telefonata, dov’ero, la voce di entrambi. La mia irritazione, la sua serietà, il tono con cui accoglieva il mio fastidio e mi restituiva comprensione e uno sdegno più pacato. Alessandro aveva maggior consuetudine di me con la rozzezza della politica e con i temi che avevano suscitato la mia indignazione”. Elena Stancanelli e Alessandro Leogrande, autore della “Frontiera” (Feltrinelli, 2015), il testo più importante sull’argomento, il testo più preciso nella capacità di prevedere ciò che sarebbe accaduto, cominciano a lavorare insieme e danno vita a un progetto che, dopo la morte di Alessandro, sarà chiamato in suo onore “la frontiera”, un progetto di ridefinizione del vocabolario della migrazione che coinvolge scienziati, pedagoghi, linguisti, botanici. Oggi Elena Stancanelli scrive che senza l’incontro con Alessandro non sarebbe partita, non possiamo sapere se è vero o meno ma possiamo leggere le pagine sulla loro amicizia commuovendoci per il pensiero che esistono davvero incontri potenti, nascosti da una patina leggera, che possono rivoluzionare l’esistenza.

  

Le salviette per attutire gli stupri

Venne alla spiaggia un assassino è, prima che un diario di bordo, un ininterrotto dialogo fra persone. Un dialogo con Alessandro Leogrande, come se ogni dettaglio fosse narrato a lui. Un dialogo con Giorgia Linardi, la ventottenne che ha gestito l’emergenza Sea Watch nel gennaio 2019, davanti al porto di Siracusa, e che racconta di donne ripetutamente picchiate e stuprate che mettevano salviette umide nella vagina per attutire i colpi. Un dialogo con Cristina Cattaneo, che ha raccontato le vite dei naufraghi a partire dai loro resti e per sedare l’ossessione dei morti ha scritto il più letterario dei reportage. Un dialogo con Ani, la capomissione del salvataggio di Josefa, la donna su cui si è scatenato il vergognoso dibattito a proposito di uno smalto rosso, e che è stata accusata di associazione a delinquere, come una mafiosa. Pagina dopo pagina, si moltiplicano le conversazioni fra persone ossessionate da un solo pensiero, da una sola domanda: che cosa posso fare per disertare questo tempo? Venne alla spiaggia un assassino è la diserzione di una scrittrice che, “incautamente”, scrive lei più di una volta, si è messa in gioco fino in fondo. Non è un libro facile, non è un libro schierato, non è un libro prevedibile, è un libro sorprendente e pieno di registri diversi, di notizie e di annotazioni personali, di illuminazioni e di mostruose ingiustizie. E’ un libro di avventura, e quindi parla del coraggio, e anche della paura: per fortuna, Elena Stancanelli non è stata cauta mai.