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Al quinto piano è nata la bambina di Ilaria, ora l'assoluto è lassù

Annalena Benini

Lei e io ci parliamo al telefono dalle finestre, e io non voglio dimenticarmi mai più niente

Nel palazzo dove vivo ho un’amica molto cara, si chiama Ilaria. Siamo diventate amiche appena si è trasferita all’ultimo piano: ci parliamo al telefono, ci parliamo dalle finestre, soprattutto ci parliamo al telefono mentre ci guardiamo dalle finestre, perché sennò dovremmo urlare i fatti nostri a tutto il condominio. A me piace molto anche andare a casa sua, appoggiare la fronte a una finestra del suo salotto e guardare giù, verso casa mia. Non la riconosco mai subito, e devo concentrarmi sulle piante mezze morte per capire che quelle sono proprio le mie finestre, quello è il nostro appartamento, là c’è buio perché non ho ancora cambiato la lampadina, lì dentro ci sono i miei figli che giocano: a volte vedo le loro sagome rotolarsi in corridoio, vedo il cane che li insegue, e penso che sono molto carini e buoni, perché quando cambia il punto di vista cambia tutto. Li vedo in un modo diverso, da quassù, penso che sono ancora piccoli e che mi mancano, anche se sono salita solo da mezz’ora, penso anche che il secondo piano è un po’ troppo basso e che non c’è la luce stupenda che c’è qui, e che dovrei fare qualcosa per quelle piante, ma che comunque è colpa del piano basso, non certo mia. Ma adesso è successa una cosa grandissima: Ilaria ha avuto una bambina.

 

Un attimo prima eravamo alla finestra al telefono, lei diceva che forse aveva qualche doloretto ma niente di importante, un attimo dopo era di nuovo a casa con una neonata meravigliosa fra le braccia. E io, che prima passavo il tempo alla finestra e al telefono a raccontare di birra in gravidanza, salame, epidurale, allattamento, dove mettere il fasciatoio e quali body comprare, e mi sentivo piena di esperienza e di saggezza e di serenità, ho guardato Ilaria e la sua bambina, prima dal secondo piano e poi dall’ultimo, accanto a loro, ho cambiato il punto di vista e ho capito che non mi ricordavo più niente. Più niente dei miei figli neonati, più niente di me che camminavo avanti e indietro per il corridoio con loro in braccio, al secondo piano. Ero come Ilaria, solo con meno luce per colpa del secondo piano, ma non lo sapevo. Si è così tanto impegnati a vivere che i ricordi scappano via da tutte le parti, anche se hai passato giorni e notti a guardare, ad allattare, a cullare, a preoccuparti, a crollare dal sonno, a fare la doppia pesata, a cantare, anche se hai scattato mille fotografie con i mille telefoni che negli anni hai perso, e anche se sei sicura, stracerta, che una cosa così gigantesca non potrai dimenticarla mai. Che quella spossatezza euforica sarà il tuo stato d’animo per sempre. Invece poi un giorno eccola di nuovo, l’immensità piccola con i pugni chiusi e la tutina bianca: è tra le braccia di Ilaria che sa benissimo cosa fare, e sento che è passato un sacco di tempo e la luce è cambiata. Io non posso tornare laggiù, cullarli, metterli nel marsupio, non posso tenerli sdraiati sulla mia pancia e stupirmi per il primo vero sorriso, accorgermi di un dente che è spuntato, non posso neanche avere indietro i miei trent’anni, ma di questo, davvero, non mi importa niente. Da quando è nata la bambina di Ilaria, io guardo sempre verso le sue finestre, oppure prendo l’ascensore e suono alla sua porta, fino a quando mi dirà imbarazzata, anche un po’ preoccupata ma gentile, che però è meglio se prima mi chiama lei perché ha molte cose da fare. Da quando è nata la bambina di Ilaria, cerco di ripescare nella mia memoria tutto quello che ho perso, quella sensazione di assoluto che arriva addosso, ma che per vederla, per fermarla, bisogna spostarsi, scendere almeno fino al secondo piano e guardare in su. Così adesso abbraccio i miei figli commossa e dico: ma vi ricordate quando eravate piccoli come la bambina di Ilaria?, e loro mi guardano scocciati e dicono: ovviamente no, è impossibile. Io insisto: ma non vi ricordate di quando vi portavo nel marsupio, quando volevate stare sempre in braccio, non vi ricordate neanche del bagnetto con il gatto che cercava di tuffarsi nella vasca? Giulio scusa, almeno tu che sei più piccolo, non ti ricordi che ti cantavo sempre Passerotto non andare via? Loro sospirano, anche comprensivi in fondo, staccano per un secondo gli occhi dalla tivù e mi dicono: mamma, perché adesso non sali un po’ da Ilaria?

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.