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Restare impigliati nella paura, poi cadere con una teglia di lasagne

Alberto Schiavone

 Sono padre da quattro mesi e sono già cintura nera di genitorialità 

Sono padre da quattro mesi e sono già cintura nera di genitorialità. E’ un riconoscimento che ci si intasca in fretta, nel momento in cui sono più le parole dette a qualcun altro genitore che quelle che si ascoltano. Un tic inconscio di chi crede di aver superato la montagna e, offuscato il cervello dalla punta dei propri piedi, non scorge quelle poco più avanti, tanto più alte. Istinto di sopravvivenza?

    

A tal proposito io e mia moglie veniamo investiti quotidianamente da attacchi di paura. Non perché io e lei ne abbiamo davvero, ma nel senso che la paura ci viene proprio gettata addosso. Qualcosa dovrà pur restarci impigliato.

  

Ogni pubblicità, ogni notizia, ogni chat, mira a ribadirmi di stare attento. E io che, come sopra, sono già un genitore esperto, mi stupisco ogni volta. Alzo la testa dallo schermo di turno e chiedo a mia moglie se è così. Se abbiamo quella particolare dotazione per l’auto, se i cucchiai che usiamo per imboccare Teresa siano del materiale giusto. Se la nostra tanto vantata tripla esposizione in casa, in grado di creare piacevoli correnti da galleria del vento, non sia invece una tortura che ogni giorno infliggiamo a nostra figlia. L’otite è lì che aspetta con un ghigno.

  

Abbiamo litigato più volte per la composizione dei panni in lavatrice. Io, vecchia scuola da vitellone solitario, metto tutto dentro, conoscono un solo tipo di lavaggio. Mia moglie mi ha intimato almeno di non mischiare le cose nostre con quelle di Teresa. Lo trovo incomprensibile, ma almeno dieci articoli di approfondimento sul tema mi smentiscono. Allo stesso modo attorno al lavandino ora c’è una spugna in più, dedicata alle stoviglie della piccola.

  

Abbiamo paura dei nostri stessi germi. Ho detto a mia moglie, tronfio, che finiremo ad aver male ai capelli. Mi sembrava una citazione colta e allo stesso tempo ironica. Mi ha detto di andare a cambiare Teresa, aveva appena cagato.

  

Al primo incontro conoscitivo all’asilo nido ho subito chiesto alle maestre se ci fosse qualche infiltrato no vax da fronteggiare. Mi hanno rassicurato, abbiamo sorriso, ho avuto la stessa sensazione di svegliarmi e scoprire di non dover andare a scuola. Sollievo. Potevo non aver paura almeno di quello.

   

Bambini lasciati in auto a morire atrocemente da genitori distratti dal mondo, manine innocenti che si incastrano nei bocchettoni delle piscine estive da cui dovrebbero arrivare solo foto da mettere su Instagram, sorridenti e felici. Il ponte di Genova percorso tante volte, gli adolescenti che si fanno del male da soli, gli sguardi orribili degli uomini attorno quando cammino con mia nipote di quattordici anni.

    

I preti languidi in agguato, le maestre cattive dell’asilo in agguato, il vecchio professore viscido del primo piano in agguato. I neri al parco minacciosi e nullafacenti. Gli zingari che ci portano via i nostri figli. Anzi gli zingari no, ora c’è una pausa di sospensione della paura degli zingari, torneranno probabilmente a farci paura la prossima primavera.

   

Ho prenotato un’auto più grande di quella attuale, mi arriverà tra quattro mesi. Ne avevo bisogno? Certamente. Più spaziosa, comoda. Più sicura.

   

Le nostre gatte leccano di tutto ma noi continuiamo a sterilizzare il biberon di Teresa ogni sera. Mi viene in mente un pediatra, uno dei cento con cui si ha a che fare nei primi mesi, uno dei cento pareri diversi su ogni tema. Ma era una donna rassicurante, che è poi la caratteristica più apprezzata dai neo genitori. Le chiedemmo (eravamo ancora nella fase delle domande) un parere su un prodotto adatto alle coliche. Serve? Lei ci disse che serviva, certo, ma a noi due. Avrebbe curato la nostra paura.

    

Ci ripenso spesso, a quella frase. Banale nella sua efficacia. Ci penso quando di nascosto da mia moglie getto nella lavatrice i panni nostri e quelli di Teresa insieme, in un abbraccio torbido e pieno di germi, un gesto per la rivoluzione di un secondo.

   

L’altra sera sono caduto a terra come un piccione obeso, mentre trionfante entravo in salone con una teglia di lasagne. Complici due bicchieri di troppo e le mie scarpe sempre lasciate in giro per casa. Appurato che non fossi morto, io e mia moglie ci siamo subito immaginati la stessa scena, ma con Teresa al posto della teglia di lasagne. Non ci abbiamo riso sopra, guardando la teglia spaccata in due e le gatte che brucavano nel ragù.

   

Non c’è un pediatra che interviene sulle prime pagine dei giornali a dirci di stare tranquilli. Che anche se un cazzone molto in vista urla, non è detto che si debba ripetere ciò che dice. Che se il mondo che guardo è brutto e non mi piace qualcosa di meglio potrà succedere e dovrò lavorarci. Constatavo giorni fa che non sento mai dare uno slancio di luce a qualsiasi personaggio pubblico. Nemmeno sussurrato. Dimentichi dell’ottimismo della volontà, siamo invece accerchiati dal pessimismo dell’irragionevolezza. Che paura.

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