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Divieto di WhatsApp fino a sedici anni, ma invece le chat di madri?

Annalena Benini

Confido nel fatto che il telefono di mia figlia mi appartiene, e nella regola dell’1 per cento

Volevo sapere da mia figlia che opinione avesse del divieto di whatsapp per i minori di sedici anni (lei e tutto il suo mondo di whatsappatori rientreranno nel divieto), così le ho mandato un whatsapp.

 

Non ha risposto, non ha letto, non si collega da ieri sera, il suo stato è sempre la foto di un pappagallo, lei è fuori ma ha lasciato il telefono a casa. Cosa ti compro a fare il telefono se poi quando serve non ce l’hai con te, non lo senti suonare, hai finito il credito, non prende, l’hai perso, è nella tasca dello zaino, oppure leggi e non rispondi? Non so come rintracciarla per dirle che farò un po’ tardi, provo a scrivere alla sua compagna di classe ma la sua compagna di classe non si collega dal venticinque aprile alle tre del pomeriggio, non mi resta che scrivere a sua madre. Che risponde all’istante con cinquecento faccine che ridono. Stanno facendo il lavoro di gruppo di tecnologia, non c’è wifi, ma tutto bene. Non so come possa andare tutto bene se non c’è wifi, comunque mando anche io delle faccine che ridono a questa madre, che mi risponde con la faccina che significa: sollievo. Sì, sollievo, rispondo con una faccina in più sempre di sollievo per essere molto gentile.

 

La madre mi chiede quando possono incontrarsi tutti insieme per il lavoro di gruppo di Geografia, tenendo conto del ponte. Quale ponte? La madre mi manda un’altra trentina di faccine che ridono, e anche quelle con gli occhi al cielo. Improvvisamente mi è chiaro che ho assoluto bisogno di aggirare il divieto europeo di whatsapp , e che darò il mio permesso formale di genitore fiducioso e ottimista all’utilizzo di ogni dispositivo elettronico collegato a internet, a ogni social, a ogni mezzo di comunicazione online, perché non voglio in nessun caso diventare il sostituto whatsapp di mia figlia.

 

Non posso immaginare che le questioni dei compiti e dei lavori di gruppo e delle verifiche e degli sport passeranno dal suo whatsapp al mio. Io già ho il gruppo whatsapp della madri di scuola: cara Europa, ti prego di comprendere le mie ragioni, di pensare anche ai miei diritti, alla mia sopravvivenza. Io do il consenso, tutti i consensi, li darò sempre. Mi fido di mia figlia, e mi fido della regola che ho stabilito fino ai sedici anni (forse quindici, meglio diciassette): il suo telefono è mio, e io saprò sempre la password. Il suo telefono è mio, le ricariche le faccio io, la sua cronologia in caso di emergenza mi appartiene. Non credo ai divieti, credo al fatto che quel telefono è mio, e che comunque è quasi sempre scarico, spento, abbandonato, inutilizzabile. Non credo ai divieti, credo di più alla regola dell’uno per cento: ogni volta che ho chiesto a mia figlia di scattare una foto, mandarmela su whatsapp, cercare una strada, controllare il titolo di un libro su google, lei mi ha risposto sempre: ho l’uno per cento. Con l’uno per cento non si corrono grossi rischi, con l’uno per cento i cattivi di whatsapp dovranno comunque scrivere a me, mandare i video a me, minacciare me, bullizzare me che ho sempre il telefono acceso, che credo ancora nell’immensa novità di whatsapp, che ancora aspetto il messaggio dei messaggi e cerco prese per la corrente su tutti i muri, anche per strada. Forse questo uso andrebbe regolamentato: bisognerebbe vietare le chat delle madri, e l’abitudine violenta di creare gruppi whatsapp senza chiedere il permesso ai partecipanti. Ma a qualunque divieto io risponderei con il desiderio smodato e con la ribellione, inizierei probabilmente a creare gruppi di madri.

 

A un certo punto comunque mia figlia ha riacceso il telefono, o l’ha ritrovato in fondo a un pozzo, ha letto, non mi ha risposto, e a casa mi ha detto: avevo l’uno per cento. Ma non ti interessa per niente whatsapp quindi? Non ti importa se te lo vietano fino ai sedici anni? Se devi mandare sms a pagamento? Se la tua libertà di adolescente viene limitata? Mamma, dovrebbero vietarlo a te whatsapp, e comunque io ti aiuterei, ti presterei il mio telefono.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.