Illustrazione di Roberto Hikimi Blefari

Ma ti ricordi quando non avevamo paura di niente? L'età adulta

Annalena Benini

Piccole confessioni tra amiche sul terrore che non ci lascia mai, e il sushi che non sazia

Quella sera prima di uscire ho detto a mia figlia: ma ti ricordi quando non avevi paura di niente? Quando volevi vedere tutti i film di paura e ti lanciavi dagli scogli e stavi sott’acqua fino a che a me veniva un infarto? Adesso dici che hai l’ansia perché devi suonare il flauto, che hai paura di salire le scale da sola con lo zaino, che hai paura dello spirito che entra dal bagno di notte, che stasera non ti addormenterai finché io non torno. Ieri avevi l’ansia per il dentista che doveva toglierti un dente (lo capisco amore, io mi sarei legata alla sedia per non andarci), ma visto che il dentista non ti ha tolto nessun dente, hai avuto l’ansia perché ti toccava fare i compiti e portare fuori il cane, hai detto: era meglio se mi toglieva il dente. Hai anche paura di asciugarti i capelli col phon, dici che si prende la scossa e si muore quasi sempre.

 

Mia figlia ha ascoltato questo elenco e si è offesa, adesso si offende per molte cose, e ha detto che non può farci niente, che è fatta così, e che anche tutti i suoi compagni hanno l’ansia. Ma allora forse è solo un modo di dire, ho sperato, in realtà non è niente, è un gioco. Ma lei ha detto, seria: anche le tue amiche hanno l’ansia, e tu mi dici sempre: non farmi venire l’ansia con le equazioni, non farmi venire l’ansia con quel cane. E’ vero, lo ammetto, e adesso sono in ansia perché sono già in ritardo, la mia amica aspetta qui sotto in auto in doppia fila, mia figlia è offesa con me, il cane non ha cenato e io esco, entro in auto, saluto, ma la mia amica sta parlando al telefono con sua figlia che a casa non trova il ciuccio e piange, e il marito le dice che si è rotta una finestra e rompendosi ha rotto il muro, che cosa possiamo fare? Lei gli spiega con molta calma e gentilezza che faranno quello che fanno tutti, aggiusteranno la finestra e il muro, verrà una persona, la pagheranno, ritroveranno il ciuccio e ne compreranno altri trentacinque di riserva. Il marito si calma, lei riesce a chiudere la telefonata e mi dice che sta lavorando con la bronchite da due settimane e non guarisce mai, insomma tutto bene, dobbiamo raccontarci un milione di cose. Mentre frughiamo nelle borse al buio alla ricerca di monete per il parcheggiatore abusivo che ci augura buon anno, penso: qual è stato il momento esatto in cui è cambiato tutto? Quand’è che una finestra è diventata così importante, quando abbiamo cominciato a occuparci delle nostre bronchiti, della pioggia, delle previsioni meteo, e a uscire la sera con questo senso di filo spinato sul portone di casa? La mia amica manda un messaggio al marito: ciuccio di riserva dentro il cassetto delle medicine, e entriamo al ristorante. A tavola siamo in tanti, ridiamo e scherziamo ma tutti hanno uno spavento, una preoccupazione, un appuntamento con l’analista, un fine settimana lontano dai figli che doveva essere pazzesco ed è andato malissimo perché lei ha passato la notte a vomitare, è la quarta volta che le succede: ha capito che sta male fisicamente quando si allontana dai suoi bambini. Ma perché? Perché ho paura, ha detto. Ho paura di tutto, anche quando non so di avere paura. Paura delle cose piccole e di quelle gigantesche, paura di non esserci quando serve, paura degli incendi (io allora penso alla candela che ho lasciata accesa in salotto e mando un messaggio a casa di nascosto: ti prego spegni la candela e chiudi il gas).

 

Io ho paura di non avere mai un figlio, invece. Io ho paura di averne un altro, io ho paura di non uscire più da questo periodo assurdo, io ho paura che mia madre muoia. Allora non è un gioco, allora a un certo punto abbiamo cominciato ad accompagnarci alla paura, e a diffonderla nelle nostre case. Una di noi taceva, non partecipava a questo elenco di terrore, ma che cos’hai, perché non parli, le abbiamo chiesto un po’ aggressive, agitando le bacchette del sushi: ho paura che questa felicità che provo adesso sia troppa, ho paura di perdere tutto. Tutte abbiamo annuito, convinte: è la paura peggiore, quella che ti prende alla gola quando scoppi di gioia. L’importante allora è sapere che diventare adulti significa avere questa paura costante, le finestre la bronchite la chat di classe, la morte e troppa felicità. Non prenderò più in giro mia figlia quando si spaventa perché dice che il suo pollice sta cambiando colore, ma spero che le sue amiche rideranno con lei dei suoi pollici, e che queste paure passeranno. Spero anche di ricordarmi sempre di spegnere le candele. A mezzanotte il ristorante ha chiuso e noi siamo uscite, senza più paura, in cerca di una pizzeria al taglio ancora aperta. Dobbiamo ricordarci che il giapponese non va bene per chi ha fame, dobbiamo ricordarci che a noi piacciono la pasta, le polpette, la pizza, le patatine fritte, dobbiamo ricordarci che siamo adulte, ma non così tanto.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.